Caso Pifferi: al via la perizia su Alessia, psichiatri in carcere mercoledì 6 dicembre

Alessia Pifferi sarà visitata in carcere dagli psichiatri nominati dalla Corte d'assise di Milano il prossimo 6 dicembre.

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Inizia così la perizia psichiatrica che durerà poco meno meno di tre mesi affidata allo psichiatra forense Elvezio Pirfo e la psicodiagnosta Chiara Bele per capire se la 37enne fosse in grado di intendere e di volere il 14 luglio 2022 quando ha abbandonato la figlia di 18 mesi Diana in casa per una settimana facendola morire di stenti.

La decisione è stata presa il 27 novembre durante la riunione congiunta fra i periti del tribunale, quelli della Procura di Milano Marco Lagazzi (psichiatra forense e direttore del Milan Institute for Health Care and Advanced Learning) e la psicologa forense Alice Natoli con la psicologa e criminologa Alessandra Bramante nominata dalla difesa della donna accusata di omicidio volontario aggravato e premeditato e che si affianca alla perizia difensiva già prodotta dal dottor Marco Garbarini che ha ricavato una diagnosi di “vizio parziale di mente” e “ritardo mentale”.

Le parti civili – sorella e madre di Pifferi – non hanno nominato un proprio consulente. In base al primo colloquio clinico a San Vittore si deciderà quali e quanti test somministrare a Pifferi per rispondere alle domande poste dalla giuria popolare presieduta dal giudice Ilio Mannucci Pacini: se oltre a essere o meno in grado di intendere e di volere, Pifferi abbia la capacità di “partecipare al processo” e l’eventuale “persistenza di rischio psicopatologico” da valutare per la sua “pericolosità sociale”.
Il tema delle condizioni mentali dell’imputata è al centro di un aspro dibattito fra la difesa e i pubblici ministeri Francesco De Tommasi e Rosaria Stagnaro. Nell’ultima udienza del processo il 13 novembre i pm hanno accusato le psicologhe in carcere, Paola Guerzoni e Letizia Marazzi, di aver manipolato Pifferi e averla aiutata a fornire una “versione differente rispetto a quella spontaneamente fornita”.

I magistrati si sono opposti alla richiesta di sentirle nel processo se non in “una veste processuale” diversa da quella di testimoni pure e cioè come indagate in procedimento connesso. I consulenti della Procura hanno parlato di colloqui clinici avvenuti in cella “con ritmo frenetico” prima e dopo le udienze del processo per omicidio, anche a distanza di pochi giorni, con atteggiamento da parte delle psicologhe non di “una descrizione clinica” ma “l’estrapolazione deduttiva di una vera e propria tesi difensiva”. A quanto risulta a LaPresse a oggi le due psicologhe del carcere non sono indagate.

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