Buon Sei Nazioni (e assalto al cielo..) a tutti! Di Teo Parini

Oggi pomeriggio ci farà visita all'Olimpico proprio l'Inghilterra, quella maledetta armata che ci ha sempre sconfitto e che piu appare in difficoltà e più trova conigli nel cilindro

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Nemmeno il tempo di metabolizzare un mondiale meraviglioso per alcuni, terribile per altri e sufficiente per noi che è già tempo di Sei Nazioni, quindi di fare sul serio nella competizione sportiva più antica al mondo. Correva l’anno 1883 e l’Inghilterra sconfiggeva il Galles nella prima storica partita di un torneo che sarebbe presto diventato leggendario. All’epoca battezzato Home Nations, in quanto a parteciparvi erano le sole quattro compagini britanniche, due le svolte epocali e una orgogliosamente ci riguarda. La prima con l’ammissione della Francia e la seconda, a noi più cara, con l’invito esteso all’Italia nell’anno 2000, l’alba di una nuova dimensione azzurra. Tempo ne è passato, lasciando in eredità gioie, poche ma preziose come diamanti, e dolori, tantissimi. Frutto, questi ultimi, di una legge non scritta ma inviolabile di un gioco crudo come solo il rugby sa essere per la quale a vincere è sempre il più attrezzato per farlo e, misurando la nostra forza con il gotha della disciplina, abbiamo sempre dovuto inseguire col fiatone il livello degli altri. Soffrendo ma crescendo, in un processo, quello della costruzione di una squadra vincente, che è comprensibilmente lungo ed estenuante e che ci vede stazionare ancora in mezzo ad un cantiere ma con una certa consapevolezza riguardo alle nostre virtù.

Per rendere l’idea della complessità dell’impresa è sufficiente ricordare che la Francia ha impiegato mezzo secolo per vincere in solitaria la sua prima edizione del fu Cinque Nazioni e nessun transalpino si crucciò più del necessario. L’Italia, a beneficio di chi ad ogni sconfitta se ne esce con la tiritera sulla nostra congenita inadeguatezza per questo sport, vi partecipa da meno di un quarto di secolo nel quale, Inghilterra a parte, li abbiamo sconfitti tutti in almeno una occasione e chi pensa sia poca cosa dimostra una scarsa capacità di lettura della questione che resta un assalto al cielo.

Tornando alla contingenza, oggi pomeriggio ci farà visita all’Olimpico proprio l’Inghilterra, quella maledetta armata che ci ha sempre sconfitto e che piu appare in difficoltà e più trova conigli nel cilindro. Come negli ultimi mondiali dove, zitta zitta, a momenti fa il colpo gobbo. E scenderà in campo con una formazione che include diversi debuttanti ma, considerato il bacino inesausto e di qualità dal quale Steve Borthwick può attingere, non è lecito arrendersi regali. Anzi. Noi, intanto, abbiamo un coach nuovo che ha preso il posto di un Crowley ottimo e non sufficientemente considerato, l’argentino Gonzalo Quesada. Il quale ha a disposizione due aspetti che non tutti i suoi predecessori hanno avuto la fortuna di avere, forse nessuno. Una squadra con un gioco identitario e riconoscibile e un roster ampio. Un po’ falcidiato dagli infortuni in prima linea, dove mancheranno Ferrari, Riccioni e Lamb ma che, in generale, consente più di un’opzione di gioco. Insomma, l’allenatore non avrà la formazione perennemente obbligata.

Le buonissime notizie sono date dal rientro di Menoncello, un ragazzo che (qui ci giochiamo la reputazione) avrà una carriera da primo della classe, e di Lucchesi, entrambi reduci da in campionato del mondo visto in tivù. Quesada, giustamente, almeno in questo inizio di avventura non farà sconvolgimenti rispetto al lavoro egregiamente svolto da Crowley e la sua prima formazione né è la conferma con qualche piccola aggiustata. A nostro parere, il meglio che oggi si possa proporre. Triangolo allargato con Allan nel ruolo di estremo e nel momento migliore della carriera e la copia di ali supersoniche composta da Ioane e Capuozzo. Due schegge alle quali se concedi un metro li ritrovi a schiacciare la palla in meta. Sorpresa ma fino ad un certo punto in mediana, dove Quesada propone i fratelli Garbisi, insieme. E se per Paolo è ormai quasi consuetudine, per Alessandro, invece, è investitura pesante.

Inutile rimarcare l’importanza del ruolo del numero 9 nell’economia del gioco, quindi in bocca al lupo. Menoncello e Brex saranno i centri dai quali ci si aspetta davvero tanto, mentre la seconda linea vedrà per protagonisti Ruzza, alla presenza numero 50, e Niccolò Cannone. Con il rientrante Lucchesi a tallonare, in prima linea spazio a Ceccarelli e Fischetti, con gli infortuni di cui sopra ad accorciare un po’ la coperta dei primi tre uomini. A chiudere il quindici titolare, infine, la collaudata terza linea presidiata da Lamaro, il capitano, con Negri e Lorenzo Cannone. Due, quindi, le coppie di fratelli in campo, un bellissimo affare di famiglia. In panchina, tra gli altri, c’è un giocatore che vale oro quanto pesa e che, siamo certi, in questo Sei Nazioni farà il decisivo salto di qualità: Manuel Zuliani. Un’iradiddio che quando entra in campo spacca in due la partita.

Non siamo certo qua a vendere tappeti, l’Italia non vincerà la partita di oggi anche se, in caso contrario, saremmo felici di non averci capito un granché. Tuttavia, che alla complicatissima partita che ci attende al varco l’Italia possa restare agganciata e protagonista è qualcosa di realmente possibile, nelle nostre corde. Nel rugby, se le vittorie sono ovviamente fondamentali come in ogni altro sport, conta parecchio – per chi come l’Italia è nano sulle spalle dei giganti – ricordare all’establishment della disciplina, ma anche agli avversari, che non hanno sbagliato ad includere gli azzurri al banchetto del Sei Nazioni. Abbiamo la qualità tecnica e morale per farlo e, soprattutto, il dovere di offrire di noi la migliore versione possibile. Perché il rugby esige il suo tributo.

Buon Sei Nazioni a tutti, senza paura.

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