In questi anni grazie alla mia passione e ad internet sono riuscito a conoscere tantissimi artisti indipendenti americani (anche parlandoci direttamente), musicisti che altrimenti non avrei potuto nemmeno immaginare di ascoltare alle nostre latitudini, ahimè. Forse se devo sceglierne una è la cosa che più amo di internet in ambito musicale, per il resto invece sono ancorato ai vinili, al cd, al cofanetto, alla musica fisica, ma essendo in minoranza mi adeguo e sfrutto gli acquisti digitali per alimentare una passione che è veramente forte verso questo tipo di approccio alla musica.
E’ così che ho scoperto Jason Evans e questo splendido disco di country folk, intenso e vero come casa sua il Kentucky, uno degli stati che più stanno sfornando talenti indipendenti in questi anni. Un disco di musica vera, legata alla sua terra e che sembra venga fuori dalle vostre casse suonata direttamente dalla stupenda copertina, sapore di polvere e di erba appena tagliata. Un disco di country molto acustico e poetico, che avrebbe reso orgoglioso il compianto John Prine appena scomparso ed uno dei maestri di questo tipo di poesia rurale in musica. Il paragone non è blasfemo, il talento di questo ragazzo è genuino e basta sentirsi la delicata ballata Kentucky Sky che apre le danze per capirlo, la voce non è banale e le campagne della sua terra natale si stagliano davanti ai vostri occhi. Bellissima.
Bluegills & Bumblebees è un’altro splendido pezzo acustico, con la voce di Evans che convince mentre ci narra storie vissute nelle campagne del Kentucky e ci sembra di essere sotto un portico al tramonto ad ascoltarlo, una musica nostalgica, legata al passato e alle radici come purtroppo il business musicale moderno di grandi case discografiche non permette. Grazie a dio e grazie alla rete esistono e prosperano gli artisti indipendenti che ci regalano perle come Evans e la sua Old Man, lenta ed emozionante oppure come la title-track che pare venire da una jam-session con Kris Kristofferson, un vero cantastorie country come si usava una volta.
Il lavoro si chiude con Small Town Boy, che sembra molto autobiografica e sentita, la voce si fa quasi più intensa e la chitarra ci accompagna in questo racconto finale, una degna conclusione di un disco per intenditori e cultori di una musica che oggi le radio commerciali anche americane, fuggono con ribrezzo, sbagliando clamorosamente. Una musica di radici e vita vissuta che è ancora amata e che arricchisce l’anima, certo non allegra o da danzare in una balera, ma suonata con passione e talento. Benvenuto ad un artista che merita successo e di essere conosciuto.
Buon ascolto, Claudio Trezzani.