Dicembre 1998. L’anno nefasto del Cermis e dell’alluvione di Sarno volge al termine e l’Italia che si lecca le ferite prova a dare di sรฉ la miglior versione possibile aggrappandosi allo sport.
Se Pantani con la doppietta Giro-Tour ha giร scritto tra primavera e estate un’indimenticabile pagina di ciclismo, l’inverno chiama all’appuntamento con la storia la squadra azzurra di Coppa Davis. I ragazzi capitanati da Pasta Kid, al secolo Paolo Bertolucci, si sono infatti guadagnati l’accesso alla finalissima contro la Svezia da disputarsi tra le mura amiche. L’epilogo, che si scoprirร poi essere amaro, restituisce agli appassionati di racchette e palline pelose un momento sportivo di rara intensitร emotiva che vale la pena di ricordare proprio in questi giorni in cui, un ventennio piรน tardi, lo sfortunato protagonista di allora torna a essere un punto di riferimento per il tennis mondiale. Il tennis toglie e il tennis dร , dunque, un po’ come la vita, della quale la disciplina che fu di Rod Laver รจ sempre un meraviglioso paradigma.
Milano, Italia. La possibilitร che il trofeo vecchio piรน di un ventennio di Cile ’76 non resti piรน solo รจ sulla carta abbastanza concreta perchรฉ il team italiano ormai da qualche stagione si mantiene su ottimi livelli. Merito soprattutto di Andrea Gaudenzi, talento purissimo da giovane – quando fu numero uno ITF e plurivincitore Slam – poi evoluto a indomabile gladiatore nel mondo dei grandi grazie alla cura Leitgeb, il mentore di Muster, sempre a proposito di personalitร forgiate nell’acciaio. Nato a Faenza nel 1973, Gaudenzi non รจ mai stato un ragazzo banale, non fosse altro per una qualitร nelle esternazioni superiore alla media degli stereotipati colleghi. Assegnato all’esordio tra i professionisti alle cure di Bob Hewitt l’indimenticabile doppista, in un rapporto peraltro mai decollato, รจ appunto in Austria che il faentino ingrana le marce alte. Un esempio, il suo, di abnegazione e umiltร che lo francobolla all’affetto della gente, agli occhi della quale incarna il mito di colui che ce l’ha fatta con due spicci in tasca e un cuore grande cosรฌ. Tralasciando l’imprescindibile talento, ma poco importa.
Numero 18 del ranking mondiale all’etร di ventidue anni, con tre titoli in bacheca, la semifinale di Monte Carlo e lo scalpo di Sampras e Federer, รจ appunto la Davis la manifestazione che piรน ne ha esaltato le doti da agonista. Fascetta tricolore legata in testa e corporatura decisa, per un lustro abbondante le gesta di Gaudenzi, narrate con enfasi da un cantore ancora piรน corpulento, sono un must tutto italiano in un periodo storico globalmente avaro di soddisfazioni. Gaudenzi in campo suda e sbuffa; Galeazzi al microfono urla scomposto e sbuffa anch’esso. ร la classe operaia che va in paradiso e che fa innamorare un’intera generazione.
Per l’atto finale di Davis la federazione attrezza cosรฌ il Forum di Assago con il campo in terra battuta piรน lento della storia del tennis, una palude, un po’ per mettere in difficoltร gli avversari svedesi sulla carta meglio attrezzati per le superfici rapide e molto per esaltare l’attitudine terricola che rasenta l’arte di Andrea, al rientro, perรฒ, da una fastidiosa operazione alla spalla. Il nostro secondo singolarista designato รจ Sanguinetti, uno capace di grandi exploit ma che soffre il mattone tritato non meno di quanto Lendl in vita sua abbia subito i prati, cioรจ molto, ragion per cui sulle spalle muscolose di Gaudenzi poggiano gran parte delle speranze di successo. All’esordio di un venerdรฌ che finirร per essere maledetto, l’avversario รจ tale Norman, un vichingo che qualche anno piรน in lร raggiungerร la seconda piazza del ranking mondiale grazie a colpi di rimbalzo che filano come traccianti, e il match si intuisce fin dagli albori che non sarร una passeggiata per nessuno dei contendenti. Tennis brutale, piรน passionale che bello, nel clima da torcida che notoriamente unicizza la piรน importante kermesse per nazioni dove anche il pubblico รจ differente, tendente al calcistico. Nel pomeriggio che diventa sera, Gaudenzi sporca i colpi esasperando le rotazioni per disinnescare il rivale e Norman, imperterrito, lascia andare il braccio come un cecchino al fronte. Stratega il primo, colpitore quell’altro. Ciรฒ che perรฒ li accomuna รจ una feroce voglia di prevalere.
Benchรฉ imbottito di antidolorifici, Andrea soffre le pene dell’inferno per quella spalla non ancora del tutto ristabilita al punto che non serve avere l’occhio lungo per capire che l’azzurro possa contare solo sulle traiettorie incrociate, quelle che per biomeccanica meno sollecitano l’articolazione malandata, come se al ciclista prima della volata venisse a mancare il lungo rapporto. Dopo cinque ore che a definire collose si sbaglia per difetto, รจ tempo di quinto set. Norman ha piรน benzina nel serbatoio, lo certifica un inequivocabile body language, e in un amen vola sul 4 a 0 con a monte tutta l’inerzia del mondo. “Non volevo prendere un 6-0 in una finale”, dirร qualche anno dopo Gaudenzi, fatto sta che sospinto da quindicimila tifosi indemoniati, trasfigurato dal dolore ma con il fuoco dentro di chi riconosce l’occasione per cui ci si รจ dannati l’anima una vita, Andrea risale la montagna. Intorno all’adagio pallonaro per il quale se con l’attacco si vendono i biglietti รจ con le difese che si sollevano i trofei, l’azzurro scolpisce nel marmo la rimonta. Corre spingendo forte sui quadricipiti e rispedisce al di lร della rete tutto ciรฒ che gli capiti a tiro, รจ un muro di gomma, e il risultato รจ che le certezze dell’avversario col passare dei minuti si sgretolano, una a una.
La bordata liberatoria scagliata con il servizio che vale l’eroico sorpasso รจ perรฒ accompagnata da un rumore sinistro: il palasport รจ una bolgia dantesca ma lo sentono tutti. ร il tendine della spalla, quella spalla, che si spezza in due come un elastico messo in croce dalla ripetizione di tensioni al limite del sopportabile. Il cambio di campo che fa seguito all’undicesimo gioco, con l’azzurro avanti per sei giochi a cinque, รจ un minuto surreale avvolto dal silenzio assordante che rammenta quanto lo sport sia talvolta un esercizio ludico crudele. Come fu per Dorando Pietri, il sogno di Gaudenzi si inceppa con lo striscione d’arrivo a un palmo. L’Italia tutta implode su se stessa in quel frangente e, incapace di reagire alla resa del suo uomo simbolo, l’insalatiera d’argento finisce per essere sollevata dagli svedesi. Andrea non era pronto per la guerra ma per quella guerra scelse di sacrificare il resto della carriera ritagliandosi un posto d’onore nella storia dello sport italiano, quello puro, fatto piรน di emozioni che almanacchi. Quando si dice innalzare l’asticella dei propri limiti.
Appesa la racchetta al chiodo qualche anno piรน tardi, Gaudenzi, laureatosi in giurisprudenza a Bologna si รจ rapidamente affermato come imprenditore di successo. Dopo un Master in Business Administration all’universitร di Monaco e diversi incarichi nell’ambito dei digital media si รจ occupato anche della produzione delle immagini televisive dei tornei quale membro del Board dell’Associazione dei tennisti professionisti. Risultato di un lavoro evidentemente apprezzato dall’establishment รจ che dal prossimo gennaio, e per i successivi quattro anni, Gaudenzi andrร a ricoprire il prestigioso ruolo di Chairman proprio dell’ATP. Dai playground alla scrivania il passo รจ dunque breve per l’uomo che sostituirร l’uscente Kermode, stimato e sostenuto dai suoi ex colleghi tennisti in questa nuova avventura dirigenziale.
Gaudenzi รจ oggi parte di un tennis italiano che risolleva la testa in maniera impetuosa, sul campo come nella politica che gravita intorno. Al faentino – en passant, uno dei tre soli italiani menzionati da Agassi nella celebre autobiografia Open a testimonianza dello spessore internazionale conseguito negli anni di attivitร – vanno pertanto i migliori auguri per l’impegno testรฉ assunto. Laureato ad honorem all’universitร della fatica estrema, non sarร certo una responsabilitร da Presidente a intimorirlo. E allora game, set and match, Gaudenzi, per questa nuova avventura. Come in quelle giornate in cui ha inchiodato al televisore l’esigente popolo del tennis senza mai risparmiare testa, cuore e gambe.
Teo Parini