Ci risiamo. La finale di Wimbledon, secondo pronostico, la disputeranno Carlos Alcaraz, già vincitore delle ultime due edizioni, e Jannik Sinner, il numero uno al mondo. Forse il Fedal londinese del triennio 2006-2008 era tutta un’altra cosa ma, in un periodo non troppo esaltante per il tennis, non ci si può davvero lamentare. Anzi.
I due si ritrovano a qualche settimana di distanza dall’epica finale del Roland Garros, una partita praticamente messa in ghiaccio da Sinner e ribaltata sul filo di lana da un quarto d’ora di Alcaraz che il compianto Foster Wallace avrebbe definito un “Carlitos moments” se fosse stato ancora tra di noi. Che, a ben pensarci, è proprio la differenza tra gli sfidanti.
L’azzurro è una macchina da guerra, accende il motore e i giri sono immediatamente quelli massimi e restano inalterati per ore e ore. Senza cedimento. Lo spagnolo, invece, non ha nella costanza il suo fiore all’occhiello tanto che i suoi sono match che la geometria classica chiamerebbe sinusoidali, montagne russe. Ma con la possibilità concreta di toccare vette di gioco inesplorabili da chiunque altro. A Parigi è successo, ma non è certo un caso, quando Carlitos aveva un piede e mezzo nel baratro per tirarsi fuori dai guai e, poco dopo, nel super tie-break finale per incidere il suo nome nell’albo d’oro. Quando si dice su queste pagine che l’unico giocatore epocale in circolazione è Alcaraz non si vuole certo sminuire la grandezza di Sinner, che negare sarebbe da stupidi, ma esclusivamente per questa ragione. La possibilità di mettere una marcia che possiede solo lui.
Tuttavia, non è detto che ciò sia sempre sufficiente perché, sempre con riferimento all’ultimo match in Bois de Boulogne, il dritto senza un domani sparato da due metri fuori dal campo ad annullare il match point può sempre scappare lungo un centimetro di troppo. Tanto per dire che ridursi a danzare sul cornicione non è comunque una grande idea nemmeno se hai il suo talento esondante. A Parigi, del resto, per lunghi tratti la velocità di crociera di Sinner è stata dominante e nelle medesime condizioni quella partita la vincerebbe nove volte su dieci. Da attendersi, pertanto, un Alcaraz più “da corsa” già in avvio, perché allo sparagnino Ferrero, il suo coach, non sarà certo sfuggito l’approccio un po’ in sordina a fare da contraltare all’uscita fulminea dai blocchi del rivale.
A questa finale ci sono arrivati con qualche difficoltà imprevista o quasi. Alcaraz ha salutato la carriera di un meraviglioso Fognini al primo turno, cinque set di rara bellezza, e poi, dopo qualche scampagnata di salute con le consuete distrazioni, ha sofferto più di quanto dica il punteggio contro Fritz, che non sarà un fenomeno ma è giocatore che oggi merita il ranking che ha e, soprattutto, è uno che non regala niente, costringendo l’avversario a guadagnarsi la pagnotta. Sinner, invece, inutile girarci intorno come vorrebbero i suoi spesso inadatti tifosi dell’ultima ora, è in debito con la sorte perché la lezione di tennis da erba che Dimitrov gli ha impartito, fino al consueto crack del bulgaro, è stata evidente e, pur non avendo la controprova, probabilmente avrebbe finito per perdere. Oppure, nella migliore delle ipotesi, avrebbe svuotato mezzo serbatoio psico-fisico.
Al di là del problema al gomito che avrebbe potuto farsi serio. Una fortuna che, però, ha saputo capitalizzare alla sua maniera, triturando brutalmente ogni altro avversario. Djokovic, o meglio ciò che resta di lui, incluso con Shelton che ha davvero poche armi per essere un test significativo. Serbo che, nella pochezza generale, è ancora il più forte tennista in circolazione tra i non finalisti, benché il suo livello non sia nemmeno un terzo di quello raggiunto nei suoi giorni belli. Ciò dovrebbe spingere a qualche riflessione, soprattutto a coloro che per dovere di bottega (e due spicci) negherebbero l’evidenza fino alla morte.
Per trovare un favorito, al solito, conviene scomodare i bookmakers. Anzi no, questa volta poco ci aiutano perché, al netto delle virgole, attribuiscono ad entrambi la stessa quota. Insomma, brancolano pure loro nel buio, figuriamoci noi. Noi di TicinoNotizie che, peraltro, siamo decisamente più interessati alla bellezza dello sport che alla mera conta dei punti. Una curiosità statistica. L’ultima volta che due tennisti hanno disputato sia la finale del Roland Garros che dei Championships nel medesimo anno fu il 2008, stagione di grazia di Nadal che prima demolì Federer a Parigi e poi, al termine di una finale memorabile conclusa a sera inoltrata, interruppe la serie di vittorie londinesi del basilese, assestandogli uno dei colpi al morale più micidiali. Statistica che, pertanto, Sinner proverà a cancellare nel pomeriggio che potrebbe essere per l’Italia quello di più alta importanza tennistica di sempre. Perché, checché se ne dica, Wimbledon resta un gradino sopra a tutto il resto.
Wimbledon, chiosa finale per le donne, che scrive sul proprio albo il nome di Swiatek. Non una gran notizia per gli dèi della disciplina perché Iga, con rispetto parlando per una plurivincitrice di Slam, sull’erba sta a suo agio come Siffredi lo sarebbe in un monastero vuoto. Eppure, tra semifinale e finale la polacca ha lasciato per strada la miseria di due giochi. Due. Qui non si tratta di essere sempre quelli controcorrente e che si guardano alle spalle con eccessiva nostalgia, si tratta di essere intellettualmente onesti e non vendere i tappeti. Il tennis femminile, purtroppo, agonizza. Più in generale, quindi, si spera di rifarsi il palato già tra qualche ora, perché in campo scende finalmente l’artiglieria pesante.
Buon Wimbledon a tutti.