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“La monaca strega che ti converte…” E non andiamo oltre, riguardatevi Amici Miei atto I e godetevi il Necchi (Duilio del Prete) che legge i titoli del cinema fiorentino a due passi da Santa Maria Novella, allora frequentatissima sala a luci rosse. Pezzi di storia, proibita, di un Paese che si è sempre mosso in equilibrio fra pudore e proibito, di fede religiosa e voglia di far esplodere le passioni. Come le case di tolleranze della Roma di Pio IX, come le case chiuse abolite dalla Merlin e celebrate da Montanelli nel pamphlet Addio, Vanda!, per decenni le piccole sale hard della provincia italiana sono state un fenomeno sociale e di costume, forse mai studiato o, meglio, mai totalmente compreso.
“Sconto studenti e militari”: si leggeva, fino a non molto tempo fa, in un cinema di via Piave, nel cuore di Terni, saletta d’antan (in attività dal 1948), la prima a proporre nella città dell’acciaio i film di Fellini, di Sergio Leone, di Kubrik per poi orientarsi alle pellicole d’essai, fino agli Anni ’90 quando le locandine cambiano “colore” con titoli improbabili di mogli infedeli e di amanti bollenti.
La grande distribuzione, con i VHS e i DVD che lanciano sul piccolo schermo successi usciti appena pochi mesi prima, muove una guerra spietata alle salette di città costrette a chiudere una dopo l’altra. Per alcune la serrata è necessaria; per altre si punta su pellicole meno seguite e legate al proibito tipo l’hard che, in tempi in cui internet non è ancora a portata di tutti, è disponibile a pochi euro dalle 16 alle 21.30. Ma chi va in quelle sale? La vulgata popolare parla di anziani e “pervertiti”, in realtà quei cinema diventano un concentrato di umanità, un po’ come i lupanari lo erano stati fino ad alcuni decenni prima:
“In Italia un colpo di piccone alle case chiuse fa crollare l’intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia“. (Indro Montanelli)
Marco Petrelli