RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
A 76 anni di distanza dalla liberazione del Campo di concentramento di Auschwitz e 16 anni dopo l’istituzione del Giorno della Memoria, il compito più importante affidato alla politica e al mondo della cultura è evitare che il ritualismo, la consuetudine e l’abitudine delle celebrazioni sovrastino la memoria autentica della più grande strage genocida organizzata a livello ingegneristico di cui l’umanità abbia memoria. Ricordiamo i numeri: oltre 6 milioni di ebrei morti, tra le 196.000 e le 300.000 persone di etnia Rom, oltre 250.000 disabili e milioni di esseri umani tra dissidenti politici, omosessuali, minoranze religiose e prigionieri di guerra – tra i quali ricordiamo anche 40.000 – 50.000 internati militari italiani. Orrore nel quale, è bene ricordarcelo, anche l’Italia e il regime fascista ebbero un infame ruolo, dalle Leggi Razziali alla complicità delle autorità della Repubblica Sociale Italiana nella cattura delle vittime. Durante il rastrellamento del Ghetto Ebraico di Roma, furono catturate 1259 persone… in 16 tornarono vivi. Come far sì che il ricordo e la memoria continuino a vivere man mano che gli ultimi superstiti dell’epoca con il loro bagaglio di memoria, ci stanno per lasciare? Noi crediamo che, come detto all’inizio, le celebrazioni non bastano se non sono accompagnate ad un quotidiano lavoro su noi stessi e nella società, lavoro a cui la politica è chiamata in prima persona.
Parlando di politica e istituzioni, un primo passo sarebbe che l’Italia recepisse appieno la Risoluzione del Parlamento europeo del 1° giugno 2017 sulla lotta contro l’antisemitismo, la quale fa propria la definizione di antisemitismo formulata dall’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto (IHRA): definizione che contempla fenomeni anti semiti contemporanei come la delegittimazione dello Stato d’Israele in quanto tale e mette in guardia dal fatto che vecchi pregiudizi anti ebraici riemergano oggi con formule più subdole e apparentemente più accettabili, un rischio presente sia nell’estrema destra che nell’estrema sinistra. I recenti fatti di cronaca che ci giungono dall’Italia e dall’estero dimostrano che non bisogna mai abbassare la guardia e ci obbligano a considerare il 27 Gennaio sia come giornata di memoria, sia come giornata di riflessione sull’oggi. Osserviamo con preoccupazione il recente arresto del 22enne a Savona, accusato di propaganda suprematista, che diffondeva materiale neonazista, antisemita ed era pronto ad attacchi ispirati a quelli di Utoya e Christchurch. Suoi ispiratori – tra gli altri – Luca Traini, autore della tentata strage di Macerata del 2018 contro persone di colore. Anche i recenti attacchi terroristici di radice islamista hanno visto i luoghi ebraici tra gli obiettivi prediletti dei terroristi. È doloroso vedere in Europa ancora nel 2021 gli edifici e le scuole ebraiche presidiati dalle forze di sicurezza. Del bisogno di queste misure ne abbiamo avuto la triste dimostrazione anche in Italia nel più grave atto antisemita del secondo dopo guerra con l’attentato di matrice palestinese del 1982 contro la Sinagoga di Roma, dove un commando lanciò granate e colpì con raffiche di mitra le famiglie e i bambini che uscivano dal luogo di culto al termine della festa ebraica di Sukkot. Quel giorno perse la vita il piccolo Stefano Gaj Taché. A ricordare quell’episodio troppo spesso dimenticato, anche il nostro stimato Presidente Della Repubblica Sergio Mattarella durante il suo discorso di insediamento del 3 febbraio 2015: “Il nostro Paese ha pagato, più volte, in un passato non troppo lontano, il prezzo dell’odio e dell’intolleranza. Voglio ricordare un solo nome: Stefano Taché, rimasto ucciso nel vile attacco terroristico alla Sinagoga di Roma. Aveva solo due anni. Era un nostro bambino, un bambino italiano”.
Italia Viva Abbiategrasso
Alessandro Pecoraro, +Europa Milano