Magenta (e Corbetta): la Betty la sara su (par ades). Addio Bettycuore, contiamo sia un arrivederci

Tra il Dossi e il Prada, per fortuna senza il sindaco di Tik Tok, per sempar con la Titta e il Campari, coi Gamba de Legn. 'Ma par ves insci ignurant.. ta se andai a scoeura?'

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Non versate delle cazzo di lacrime di coccodrillo, perché bar e ristoranti sono cose serie, forse la cosa più seria che rimane in quest’epoca liquida che al bancone preferisce ormai e di gran lunga l’onanismo social. Pertanto quando un locale chiude o si congeda è un po’ colpa di tutti. Anche tua, che stai leggendo. O mia, che scrivo. Poi ovviamente siamo tutti diversi, unici, singoli (non è sempre un male: se le teste di minchia non si replicano, non è un male), e la vita di comunità non fa più per noi. E allora siamo qui a scrivere in chiusura di un locale che non è mai stato solo un bar o un ristorante.

E’ stato un Place to Be, una folata di squilibrio positivo in un mondo deflagrato dall’esposizione mediatica e televisiva del wine and food (inscì disan..), ma che ha molto più a che fare col sangue, il sudore e la merda (di formichiana memoria) che con Master Chef (accettate un consiglio spassionato: i grandi chef, le grandi cucine, conosceteli, leggeteli, studiateli, mangiateci, andateci a parlare, non state a ridere come beoti mentre maltrattano un por fioeu che di giorno vende assicurazioni e la sera si fa le pippe con le riduzioni di balsamico da abbinare a un risotto di cui non conosce manco le origini).

Ue’ Provera che pippone, ma sta ghe ados? Alura tal disi; la Betty, al secolo Elisabetta Cerri, quela dal Bettycuore, a Magenta taca la piasa dal merca, la sara su. Chiude, per i non autoctoni (giargianes..). Per ora andrà a svernare nella Valle di Emile Chanoux (quel d’Aosta, tavan.. a l’è la piasa), poi.. vidarem.

Ma chi l’è, la Betty? Nel suo sito la descrivono così, o meglio si descrive così:

Il mio nome è Elisabetta, ma voi potete chiamarmi Betty. La mia passione è il mio lavoro, e il mio lavoro è la mia vita! Le esperienze ed i viaggi che ho intrapreso nei primi anni della mia carriera hanno influenzato la mia cucina e il modo di intendere questa nobile professione. Dall’italia alla germania, passando per la francia fino ad arrivare agli stati uniti ho imparato dagli chef più abili, imparando svariate lingue, l’arte di ricevere e affinando le mie tecniche culinarie.

Esperienze
Nel 1989 torno in italia e avvio la mia prima società di catering a Milano lavorando nelle location più esclusive del jetset, per matrimoni ed eventi istituzionali…un periodo memorabile!
Nel 2000 apro il mio primo locale in provincia, “Betty e basta” nella storica Villa Massari.
Qualche hanno più tardi accetto la sfida spostandomi nel centro storico di Magenta, aprendo il mitico “DRY” in Piazza Liberazione.
Nel 2015 i miei obiettivi si espandono, il centro mi sta stretto e così mi sposto in una location più ampia e completa, inizia il viaggio di Bettycuore che ancora oggi sto percorrendo insieme a mia sorella Gabriella.

A me non ha mai convinto troppo, sta’ roba. Del resto non l’ho scritta io. L’errore madre, madornale di queste righe è l’aver dimenticato la madre di tutto, l’origine. Non la grande mamma di sangue per la Betty e sua sorella Gabriella, andata in Cielo dopo aver dispensato sorrisi e vitalità corbettina.

E quindi? Quindi..

La madre è Corbetta, la terra trasformata per sempre da Carlo Alberto Pisani Dossi e Luciano Prada (e non certo dal sindaco di Tik Tok, non fatevi perculare); tutto nasce lì e da lì. La follia intrinseca, il sottofondo musicale, l’esprit, la Heimat (ossia, l’anima profonda) è tutta lì: Betty Cerri è Corbetta, è sempre stata e sempre sarà. Ce lo ricordiamo per quando andavamo ai banconi di una della sue creature, negli anni a cavallo dei Dieci prima dello sbarco in piazza Liberazione a Magenta (bel locale, bellissimo palazzo Donarini, difettava un’anima cittadina, forse), perché dalla Betty c’era figa. Motore instancabile dei locali, assieme ovviamente al buon cibo.

Betty Cerri è stata e sarà sempre Corbetta, la sua signature è quella, e per fortuna. Se vuoi andare con le cozze da Magenta a Bangkok, sulle orme di Forrest Gump, l’avocado toast di New York, la pasta con Alicine del Forte, i paccheri ai 5 pomodori, una pasta con puntarelle come solo a Roma puoi apprezzare, una caprese con i pomodori superlativi dell’Oruboni (al secolo il fruttivendolo pachistano da me ribattezzato il Maestro, caro come il fuoco ma dispensatore di grandi bontà vegetali di ogni genere, scoperto grazie alla Betty), da Bettycuore devi, anzi dovevi, passare.

Estro e Corbetta a patto che i voli pindarici li fai sul sottofondo consistenete e solido di una tradizione rispettata: la cucina, Gualtiero Marchesi ed Ezio Santin docent, è anzitutto saper fare e mantecare un risotto, compulare un arrosto magari con un delizioso fondo bruno, padroneggiare le basi, le fondamenta. Poi, nel caso, ti metti le ali alla Icaro, ma attento all’atterraggio, non siete mica Ferran Adrià o Bottura o meglio ancora il sommo Fulvio Pierangelini (occhio, a 73 anni ha appena aperto un locale in via della Spiga a Milano, posto da sciuri in un 5 stelle, ma forse ritroveremo l’antico fuoco del più grande Genio della cucina del Ventesimo secolo ed oltre).

E infatti la Betty ci ha sempre fatto andare via di testa con la lasagna, il risotto, lo spaghetto, il patè che a Natale se l’è sempre giocata con quello di Peck. La tradizione. Corbetta.

Poi certo, ci si stanca. Il tempo passa, anni fa passarono dalla Betty frotte di imberbi pubescenti, bellissime ventenni in minigonna, rampolli della neo borghesia est ticinia che da tempo fa rimpiangere quella caciarona della Peralza (entrambe con pingui conti in banca e pochi libri sugli scaffali, ma almeno quelli avevano costruito industrie solide, alla manifattura e all’economia reale davano del tu), noi contenti per lei e il cassetto (sensa danè, ta ve da nisuna part, nella ristorazione come in ogni altro ambito del commercio, sembra banale ma spesso si esaltano i ristotanti di grande stile e architetti altisonanti, ma la ristorazione la fai per il cliente, non per far parlare gli scribacchini come me, che peraltro in questo settore sono marchettari incalliti).

Loro, secondo me, l’animo profondo della Betty non l’avevano mai colto. Non avevano capito, Corbetta, il Ligria, l’è tua l’è mia l’è morta l’umbria, Cerri Barbell, i trani, il record italiano nel consumo di Campari, la giesa granda, il Dossi, sempar lu, il Boemo Paulin e il Daniele Cucchiani, i Gamba de Legn e il Giovanni Parini. O ta pasa da lì, o ta capis un casu.

“La nostra cucina è conosciuta per la sua inconfondibile “raffinattezza creativa” che si sposa perfettamente con l’ampia cantina di etichette pregiate. Qui troverai un ambiente amichevole e caloroso, tanto da sentirti come a casa. Bettycuore è sinonimo di famiglia. Il cuore pulsante del ristorante siamo noi, due sorelle: Gabriella ed Elisabetta, per gli amici Betty. La nostra storia ha origine tanto tempo fa, ma ciò che conta è il viaggio che ci ha portato fino a qui, nella città di Magenta, in questa storica Villa in stile liberty che fa da scrigno del nostro mondo, fatto di tradizione, creatività e passione per la ristorazione.

Menù alla carta
La nostra cucina è conosciuta per la sua “raffinatezza creativa”
Entrée
“UN GIRO IN ROMAGNA” LA MIA SELEZIONE DI SALUMI, L’INSALATA RUSSA DELLA MIA MAMMA€ 15
(My selection of hams and salamis, Russian salad) Allergeni 2,13,14
FAVE, CICORIA E BURRATA€ 15
(Broad beans, chicory and burrata cheese) Allergeni 3
Le mie cozze al gorgonzola€ 15
(My mussels with gorgonzola) Allergeni 3,4
Le lumache in Borgogna€ 15
(Bourguignonne snails) Allergeni 3,12,13
Il tentacolo in autunno€ 18
(Autumn tentacle) Allergeni: 4,7,8,11,12,14
I primi piatti
I RAVIOLI DI BURRATA ALLA CARBONARA€ 16
(Carbonara burrata ravioli) Allergeni 3,9,14
Gli spaghetti ai ricci di Mare€ 28
(Spaghetti with sea urchins) Allergeni 4,5,8
Il risotto alla milanese con o senza l’ossobuco€ 15 – € 30
(Milanese risotto with or without ossobuco) Allergeni 3,9,12
LA MIA PASTA DEL CUORE€ 15
(My favourite pasta) Allergeni 3.5,9
GLI GNOCCHI AL BLEU D’AOSTE€ 15
(Gnocchi with Bleu d’Aoste cheese) Allergeni: 2,3,9,11,13
GLI STRASCINATI CON LE CIME DI RAPA€ 15
(Strascinati with turnip tops) Allergeni 5,9,14
I secondi piatti
Il medaglione di tonno con l’insalata di finocchi ed arance€ 25
(Tuna medallion with fennel and orange salad) Allergeni 12,2
BLACK COD ARROSTO€ 25
(Roast Black Cod) Allergeni: 5,9,7,13
IL FRITTO DI GAMBERI E CALAMARI€ 20
(Fried squids and shrimps) Allergeni 5,8,9
Le quaglie ripiene al foie gras€ 30
(Foie gras–stuffed quails) Allergeni 1,2,3,4,5,6,7,8,9,11,12,13,14
Il ganassino brasato al Cannonau€ 20
(Braised pork cheek in Cannonau wine) Allergeni 3,9,12
Il filetto di manzo e i suoi contorni€ 28
(Beef fillet with vegetables) Allergeni 3
IL MENU BIMBI – € 20,00
La milanesina panata con le chips
(Meatbreaded with chips) Allergeni 3, 9
Bibita a scelta
(Choose your drink)
Il gelato
(Ice cream) Allergeni 3
DESSERT – € 8,00
Sono fatti in casa e variano ogni giorno.
Il personale di sala sarà ben lieto di illustrarveli

SU PRENOTAZIONE
La Cassœula
I PIATTI TIPICI”

Ecco, la cassoeula.. Menu mal. Tutta roba tratta dal sito (che non ho scritto io, si vede..).

Ho chiesto all’intelligenza artificiale di definirmi la Betty associata all’estro in cucina: ma rispondu inscì.

“L’estro in cucina è come un lampo di genio che ti colpisce all’improvviso. È quel momento in cui il tuo istinto prende il sopravvento e ti fa creare qualcosa di completamente nuovo e originale. È il gusto di sperimentare, di provare, di sbagliare e di imparare.

Il talento, invece, è la base su cui si costruisce l’estro. È la tecnica, la pratica e la dedizione che ti permettono di realizzare le tue idee. Ma è anche la capacità di improvvisare, di adattarsi e di creare qualcosa di nuovo e interessante.

E poi c’è l’imprevedibilità. Quello che rende la cucina così affascinante e imprevedibile. Un ingrediente che non c’è, un utensile che non funziona, un errore che diventa un’opportunità. È tutto questo che rende la cucina un’avventura, un viaggio di scoperta e di crescita”.

Tanto vi dovevo. Scrivo questo pezzo perché non avrei mai voluto scriverlo, la Betty il 6 maggio 2024 a pranzo mi fece tornare al piacere della tavola dopo un mese d’ospedale, la Rianimazione e la quasi morte, e pure alcuni piatti indefinibili serviti ai degenti, e la dovrò sempre ringraziare. Per il resto.. dopo i 35 anni si esce una volta in meno a settimana, le uscite si diradano e noi non siamo quasi mai dove vorremmo essere.

Dalla Betty quando ci siamo stati abbiamo vissuto l’inatteso godimento dell’estro, abbiamo aspettato, mangiato pinse paradisiache e la volta dopo meno (Corbetta, si sa, è umorale e ridanciana.

“Dunque mi siedo. Accendo il tabacco e riprendo il testo, Indice: Parole povere; Storia di un titolo; Salvacondotto (in forma di prologo); Proverbi, motti, facezie, massime, locuzioni, detti popolari; Modi di dire, frasi fatte, scherzi di parole; Filastrocche, nenie, tiritere, conte, litanie, pive, cantilene; Richiami, inviti, mottetti del mondo animale; Invocazioni, sospiri, lamenti, ingiurie, scongiuri, grida, giuramenti, battibecchi, sfoghi, spavalderie e altro; Indovinelli; Commiato dal numero 13; Note, Controritratto d’autore, a cura del medesimo. Di sé scrive: “Umanista, uomo di fantasia, esteta del quotidiano, scrivano di contado”. Quando s’incarta con la morte in quella nebbia spessa, il Luciano Prada scrive d’arte per il Corriere della sera e nel 1994 il Corriere era ancora il Corriere. Questo volume, oggi, dopo quarant’anni, oh, certo, quando uscì fu un gran dire… chi scrive ha metà del proprio sangue originario di Corbetta, mia madre Maria detta Angela, i miei nonni Giuseppina Sala e Francesco Cislaghi residenti in corte di proprietà lungo la via Manzoni, ora tutti in dimora, ed io bimbo andavo, accompagnato dal nonno presso la Malpaga, alla terra, la vigna, a dorso di cavallo, di asino, munsi una vacca, decapitai, istruito dal vecchio caporalmaggiore degli alpini Grande Guerra, un gallo feroce che mi aveva beccato allo zigomo, trattenuto al ceppo, con una roncola e arrostito nel forno a legna della cucina economica in ghisa… quando uscì il Caldarina fu clamore, allora, quarant’anni fa, in molti si riconobbero o direttamente o per ceppo (ripetizione voluta ad indicare dapprima l’albero e di poi l’origine che in lombardismo coincidono) di famiglia e la lingua che si parlava nelle case, la lingua era il dialetto tanto che, quando si andavano ad esprimere in italiano, l’italiano pareva lingua tradotta. Oggi, dopo quarant’anni e tutto quel mondo a dimora, e definitivamente significando che mai più risorgerà, il libro assume valore antropologico. Una mappa, come da indice riportato, precisa, ampia e dettagliata, di un modo di vivere, costume, tradizione, culto, cultura, seppellito. Andrebbe ripubblicato. Un libro ricchissimo. Le Note presenti a chiusura danno la dimensione di come l’Autore avesse lavorato in prospettiva. Emerge la Sua capacità di cogliere, dal vernacolo, la lingua colta, classica, riferendo autori, italiani e stranieri, che collimano nel detto, sia alto che basso. Un libro che un qualche studente potrebbe affrontare per una tesi di laurea… le fotografie di Gianni Saracchi, tutte in bianco e nero restituiscono la fissità e la profondità abissale delle lapidi cimiteriale a tal punto che sembra osservino il lettore il che procura il chiasmo dell’anima, mentre i disegni di Patrizia Comand, pur richiamando squarci riconoscibili del paese che fu già affrescano una scena metafisica. Libro d’anime, quindi. Ed a questa chiamata devo la mia bagatella”. Emanuele Torreggiani

Alura fioeu, Bettycuore saluta e chiude, ultima cena sabato 20 dicembre, alle 22 il brindisi, niente (superbo) patè natalizio quest’anno, sulle sue e nostre tavole (magari un tuchetin, Betty, tal dumandi). Presto sui monti resi iconici dal film di Luca Marinelli e Alessandro Borghi, tratti dalle pagine di Paolo Cognetti che ha cercato la pace e il silenzio in Val d’Ayas, possiamo capirlo da gente che come noi ha l’esprit della pianura (num da la basa, gent alegar, fioeu da piasa).

C’ha promesso che torna. Sperem. Al netto e al lordo delle sue follie da discepola corbettese di Mel Brooks (la Betty sembra uscita da Mezzogiorno e mezzo di fuoco, questa è per cultori), ci mancherà e tanto. Mi mancherà e tanto.

Dove lo porterà, il suo talento nomade? CE lo riporterà, inteso chi da num?
«Il nomade rinuncia; medita in solitudine; abbandona i rituali collettivi e non si cura dei procedimenti razionali dell’istruzione o della cultura. È un uomo di fede». E insieme un’autoanalisi, che gli permettesse di rispondere a una domanda elementare: «Perché divento irrequieto dopo un mese nello stesso posto, insopportabile dopo due?».
Anatomia dell’irrequietezza viene pubblicato in Inghilterra simultaneamente all’edizione italiana (1996). Bruce Chatwin, edizioni Adelphi.

Ecco, senza la Betty qualsiasi grande piatto rischierà di stufarci, di non emozionarci, di ricaccarci nel mondo dei fantasmi e del buio fatto di banale e stantìa ripetitività (posto che buio e fantasmi sono compagni assidui, per chi spadella in cucina da decenni: il cuoco è sempre circondato di gente, ma alla fine è solo).

Adieu Betty, grazie a te e grazie alla Gabriella. Come direbbe il grande Luciano Prada da Corbetta, a buon rivederci.

So long, per te. E per la tua inguaribile follia. Errori tanti, generosità altrettanta, cuore ovunque, anche quando venivo e non c’eri.

“Ma dua l’è la Betty?”

“E ti tal se?”

Appunto. Va beh, andiamo dalla Titta e beum un Campari, per cercare di (ri)sentire la più grande perla di saggezza da bancone di un bar distillata dal leggendario Ceruti:
“Piroli, ma par ves inscì ignurant te fai la scoeura?”.

Sa sintum prest.

Fabrizio Provera

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