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L’intervista di Wiles come avvertimento di Trump a JD Vance

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di Stefano Vaccara

NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – L’intervista esplosiva concessa da Susie Wiles a Vanity Fair non va letta come una fuga di notizie, né come un eccesso di franchezza, né tantomeno come l’ingenuità di una chief of staff alle prime armi che si è fidata troppo di un giornalista. Al contrario, tutto lascia pensare a una mossa calcolata, politica e strategica, orchestrata da una delle figure più esperte dell’establishment repubblicano – con ogni probabilità con il pieno consenso del suo capo, Donald Trump. Wiles non è una novizia del potere.

È una lobbista navigata, una dirigente politica con decenni di esperienza a Washington. Ha lavorato alla Casa Bianca durante l’amministrazione Reagan, è cresciuta professionalmente all’ombra di James Baker e ha conosciuto da vicino i meccanismi del potere anche sotto George H. W. Bush. Sa come funzionano le gerarchie, conosce il valore della lealtà e soprattutto padroneggia il tempismo. Nulla, in questa intervista, sembra improvvisato. È per questo che i passaggi dedicati al vicepresidente JD Vance risultano particolarmente significativi. 

Parlando con Vanity Fair, Wiles descrive la conversione di Vance da critico di Trump a fedele del movimento MAGA come “in parte politica”, una definizione che suona come una delegittimazione. Ancora più dura è l’altra affermazione: Vance, dice Wiles, è stato “un teorico della cospirazione per un decennio”. Non si tratta di osservazioni casuali. A Washington, frasi di questo tipo, pronunciate ufficialmente e a microfono aperto, sono segnali di avvertimento.

Nel profilo che emerge dall’intervista, Vance non appare come un possibile erede o un partner strategico, ma come un esecutore. Non a caso, lo stesso vicepresidente afferma che il compito di Wiles non è “controllare” Trump, bensì “facilitare la sua visione e renderla realtà”.

Il messaggio implicito è chiaro: Vance deve allinearsi, non manovrare. Questo punto diventa cruciale alla luce dei silenzi del vicepresidente negli ultimi mesi, soprattutto nei momenti più delicati per Trump, a cominciare dal caso Epstein. In un sistema di potere come quello trumpiano, il silenzio non è neutralità: è sospetto. E il sospetto va corretto.

L’intervista sembra servire esattamente a questo. Mentre Wiles colpisce duramente verso il basso – Vance, Elon Musk, figure ideologiche come Russell Vought – Trump, paradossalmente, ne esce rafforzato. Persino la frase più discussa, quella in cui Wiles definisce Trump come dotato di “una personalità da alcolizzato” (quando è risaputo che beve solo diet coke), suona più come una descrizione del suo senso di onnipotenza che come un attacco diretto. Un modo per dire che il presidente si sente capace di tutto, invulnerabile, dominante.

Difetti di un aspirante dittatore? Ma quando mai, semmai tutti tratti caratteriali essenziali nel mondo MAGA per essere riconosciuto come il Commander-in-chief. Non è un caso che, dopo l’uscita dell’intervista, Trump abbia ribadito di avere “piena fiducia” in Wiles. Nessuna presa di distanza, nessuna smentita, nessuna reazione furiosa.

Anzi, mentre Bannon per una intervista simile venne subito allontanato nel 2017, Wiles resta al suo posto. Letta in questa chiave, l’intervista di Vanity Fair appare meno come uno scoop giornalistico e più come un avvertimento politico accuratamente calibrato. Un messaggio rivolto soprattutto a JD Vance e a chiunque coltivi ambizioni premature, per ricordare che, sotto Trump, i giochi di successione non sono tollerati. Trump ha sempre saputo usare i media come strumento di potere, fin dai tempi in cui era un palazzinaro a New York in cerca di attenzione.

Questa intervista rientra perfettamente in quella tradizione: dare l’apparenza di dire troppo, ma colpendo selettivamente e senza che il capo debba esporsi in prima persona. A giudicare dai segnali successivi, JD Vance sembra aver capito il messaggio intimidatorio. Il tono servile del vice presidente è stato rapido. L’allineamento, immediato. E questo, più di ogni altra cosa, suggerisce che la mossa abbia funzionato. E questo, più di ogni altra cosa, suggerisce che la mossa abbia funzionato.

Stasera Trump in tv parlerà alla nazione per rivendicare i suoi presunti “successi” economici. Resta da vedere se, tra le righe, lancerà nuovi segnali a chi, forse, ha iniziato troppo presto a immaginarsi come suo possibile successore.

-Foto IPA Agency-
(ITALPRESS).

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