A Natale regalate (a voi stessi, in primis) La veglia del sangue, l’ultimo, straordinario ‘racconto lungo’ di Emanuele Torreggiani

"Nell'introduzione Murelli colloca La veglia del sangue dentro una tradizione letteraria alta e inquieta: da Camus a Tolstoj, da Faulkner a Pirandello, fino alla poesia di Foscolo, Dickinson, Montale". L'ultima fatica del nostro più importante intellettuale Est Ticinese.

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Esiste una maturità letteraria? Forse. Parrebbe esserci quella umana, prossima o congiunta alla senilità. Ma sono distoniche, tutt’altro che in sincronia. Quella di Emanuele Torreggiani, l’intellettuale più importante dell’Est Ticino dal 1945 ad oggi assieme a Luciano Prada, grande occasione persa di e da Magenta (varrà la pena dirlo, come lui stesso fece nel 1994 in morte del gigante Prada, era il mese di novembre), ha avuto strade difformi e impervie. Austera ma sgargiante, sin dalla (post) tenera età, s’è fatta (naturalmente, forse sarebbe meglio dire naturaliter)- riprendendo questo modesto incipit- matura.

L’ultimo suo ‘racconto lungo’ (ipse dixit) è un viaggio in bianco e nero. Non nel senso della (splendida) copertina, ma nel senso delle atmosfere (evocative, soffuse) che rimandano al gigantismo, all’immensità, all’abbacinante grazie della scrittura di Georges Simenon, di cui Emanuele è probabilmente insieme alla superba Ena Marchi il più solido, autentico, credibile cultore della materia in Italia (ad insaputa del giornalismo e della cultura italiana, come per la casa vista colosseo di un gagliardo, e in vero autenticamente spietato, Ministro della Seconda Repubblica passato dall’esprit, e dalla magniloquenza, della Democrazia Cristiana). Non lo diciamo noi, lo dice (assai meglio) l’editore di Emanuele, ossia Maurizio Murelli, che ha trovato una perfetta corresponsione d’amorosi sensi (letterari e di ‘sensibilità’ culturale), leggasi la prefazione al libro precedente frutto della loro ‘entente cordiale’, dove tutto era già scritto.

La veglia del sangue non è un libro che si presenta: si attraversa. E, soprattutto, non consola. L’ultimo lavoro del giornalista e scrittore magentino Emanuele Torreggiani è un racconto lungo che si muove nel territorio più impervio della letteratura: quello dove la morte non è un evento, ma una presenza; non un silenzio, ma un rumore continuo, ostinato, impossibile da ignorare.

Torreggiani lo dice senza filtri, con quella miscela di autoironia e crudeltà verso se stesso che è ormai cifra stilistica: avrebbe voluto dedicare questo libro al padre, non c’è riuscito, “non mi considero un figlio degno”. In questa frattura iniziale — personale, insanabile — si apre La veglia del sangue. Non come confessione, ma come resa dei conti. Con i morti, con i vivi, con ciò che resta quando la memoria smette di essere conforto e diventa interrogatorio.

C’è una veglia, appunto. Ma non è solo quella rituale che accompagna un corpo prima della sepoltura. È una veglia interiore, ostinata, in cui i morti continuano a parlare attraverso chi li ha conosciuti. Matteo Trotta e Francesco “Cesco” Schettin non sono personaggi-fantasma: sono assenze che pesano, scavano, pretendono ascolto. Attorno a loro si muovono l’amore assoluto di una madre, la lealtà ruvida di un amico, la dedizione silenziosa di un maresciallo, la nudità — morale prima ancora che fisica — di un operaio. E anche l’arroganza dell’assassino, perché in questo libro nessuno viene assolto in partenza.

Al centro della narrazione c’è Francesco Tunda, investigatore atipico e, come scrive l’editore Maurizio Murelli, vero e proprio mediatore tra i vivi e i morti. Tunda non interroga le tombe: raccoglie tracce, ascolta voci, ricompone frammenti. È un “medium” laico che restituisce corpo alla memoria, trasformando ricordi, oggetti, luoghi e dettagli apparentemente marginali — marche di sigarette, automobili, locali, paesaggi ormai trasfigurati — in una materia narrativa densa, quasi ectoplasmatica.

Nella sua introduzione, Murelli colloca La veglia del sangue dentro una tradizione letteraria alta e inquieta: da Camus a Tolstoj, da Faulkner a Pirandello, fino alla poesia di Foscolo, Dickinson, Montale. Ma soprattutto richiama l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, per quella polifonia di voci che, anche qui, costruisce una verità postuma. Se in Spoon River parlano direttamente i morti, nel libro di Torreggiani sono i vivi a farsi involontari portavoce di chi non c’è più, in un dialogo continuo e doloroso che rende la morte tutt’altro che definitiva.

Il “pensiero della morte”, scrive Murelli, è l’ospite costante di questo libro: sublime e pernicioso insieme. In un’epoca che rimuove la morte, che la nasconde, che accelera persino i funerali per non doversi fermare a guardare, La veglia del sangue fa l’operazione opposta. Costringe a sostare. A vegliare. A riconoscere che il lutto non è solo perdita, ma anche memoria incarnata, carne che continua a parlare alla carne.

Ed è forse qui che il libro colpisce più a fondo: nel rifiuto di ogni estetizzazione facile. Torreggiani non cerca redenzioni, non offre pacificazioni. Racconta la morte come ciò che resta quando vengono meno la fede, le certezze, persino le parole giuste. E proprio per questo, paradossalmente, restituisce al lettore una riflessione potentissima sulla vita: su ciò che siamo stati per qualcuno, su ciò che lasciamo, su come i nostri errori continuino a vivere negli altri.

La veglia del sangue è un libro scomodo, necessario, profondamente umano. Non chiede di essere amato, ma ascoltato. E una volta chiuso, continua a fare ciò che la grande letteratura sa fare meglio: non dà risposte, ma obbliga a pensare. Anche — e soprattutto — a ciò che preferiremmo evitare.

Il volume è disponibile in libreria e direttamente dal sito dell’editore Orion Libri (www.orionlibri.net).

Non in macelleria, polleria o pescheria. In panetteria, forse (suggerisce ET). Perché questo libro, come il pane, è fatto di materia viva. E di sangue.

Una ‘recerche’, di sole 122 pagine, che va oltre il tempo. Perché la cultura (e quindi la letteratura) sono il tempo dell’eterno, come disse mirabilmente il professor Giovanni Reale. E Maurizio Murelli (involontariamente, seppur convintamente) ha ‘sottratto’ a Elisabetta Sgarbi ed alla sua Nave di Teseo uno dei libri dell’anno.

Che vi consigliamo ardentemente di regalare. A voi stessi.

La veglia del sangue, AGA Editrice, pagine 122, 14 euro. Anno: 2025.

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