“Mi ha chiamato verso le 22, mi ha detto che c’era un incendio, che erano dentro e non riuscivano ad uscire, io gli ho detto ‘scappa subito’, ma lui mi ha risposto che c’era fuoco anche all’ingresso, gli ho risposto ‘vai in bagno’ e poi non ho sentito più nulla. Ho richiamato e non mi rispondeva più”.
Così il cinese titolare, assieme al figlio, del magazzino-showroom di via Cantoni a Milano ha raccontato davanti alla Corte d’Assise come teste l’ultima
telefonata di uno dei tre ragazzi connazionali morti nel rogo appiccato il 12 settembre del 2024.
Per quell’incendio sono stati arrestati nel dicembre 2024 tre
uomini, nell’inchiesta del pm Luigi Luzi e condotta dai
carabinieri. Tra gli imputati figurano Washi Laroo, 26 anni,
presunto esecutore materiale, ossia colui che avrebbe appiccato
il fuoco, e i due presunti mandanti Yijie Yao e Bing Zhou. Le
accuse sono omicidio volontario plurimo, incendio e tentata
estorsione. Stando alle indagini, il movente del rogo potrebbe
essere stato un debito da 40mila euro che il proprietario del
magazzino avrebbe avuto nei confronti dei mandanti.
“Non lo so perché chiedevano quei soldi, io non avevo
debiti”, ha spiegato l’uomo, il primo teste del processo
convocato dal pm. Nel rogo sono morti Pan An di 24 anni, Yinjie
Liu di 17 e Yindan Dong di 18, fratello e sorella: erano tutti
ospiti nel magazzino, showroom di arredamenti in zona Certosa, e
furono sorpresi nel sonno dalle fiamme. Cercarono di uscire ma
senza riuscirci.
Nei passaggi della sua deposizione il titolare dello showroom
ha raccontato proprio quella telefonata disperata che gli fece
Pan An quella sera. “Lui – ha spiegato – doveva ancora iniziare
a lavorare da noi e aveva chiesto ospitalità per qualche giorno.
I due fratelli, invece, erano nostri parenti, la madre ci aveva
chiesto di ospitarli, loro spesso venivano a trovarci e a volte
si fermavano a dormire là”.
Il testimone ha raccontato anche di quelle minacce subite sia la sera dell’11 settembre dello scorso anno che la mattina del giorno successivo, quello dell’incendio,
da lui e dalla moglie da parte di Washi Laroo. E lo ha indicato
in aula. “Mi ha chiesto 20mila euro senza spiegare il motivo,
eravamo spaventati e anche ora sono terrorizzato”, ha detto. Il
teste ha anche riconosciuto uno degli altri due imputati. “Era
un mio ex collega, mi aveva già rubato un condizionatore che mi
serviva per il lavoro e mi aveva chiesto 20mila euro per
ridarmelo”, ha spiegato ancora.
Sempre il teste ha raccontato pure che quella sera lui,
assieme ad alcuni suoi amici, fu il primo ad arrivare quando il
rogo era stato appiccato da poco, dopo la telefonata di uno dei
giovani che erano dentro. “Quando siamo arrivati l’incendio era
in corso, il fuoco era così forte e non riuscivo a fare nulla”,
ha detto.
Le famiglie dei tre giovani morti si sono costituite parti
civili nel processo con l’avvocato Fan Zheng. “Sono tre
giovanissimi ragazzi morti in un contesto criminale – aveva
spiegato il legale – sono stati strappati alla vita e alle loro
famiglie. Il nostro obiettivo è chiarire ogni aspetto della
vicenda ed eventuali altre responsabilità, questa è una tragedia
umana evitabile e il frutto di azioni umane. Le famiglie – ha
aggiunto – stanno malissimo. Soffrono, soffrono in silenzio e
aspettano giustizia”.
Il processo andrà avanti con l’ascolto di altri
testimoni e una successiva udienza era già stata fissata per il
22 gennaio.

















