Tantissima gente ha riempito oggi la chiesa parrocchiale di Malvaglio per l’ultimo saluto a Francesco Bienati, per tutti semplicemente il Bias. Amici, colleghi, conoscenti di una vita si sono stretti attorno alla sua famiglia, portando con sé ricordi, episodi, immagini e parole che hanno restituito il ritratto di un uomo decisamente fuori dagli schemi. Che avrà anche commesso tanti sbagli, ma che aveva un pregio. Saper osservare il mondo come pochi sanno farlo.
Sulla bara, ad accompagnarlo nel suo ultimo viaggio, c’era la sua inseparabile macchina fotografica. Quella che non abbandonava mai e che, inevitabilmente, è diventata il simbolo con cui tutti continueranno a ricordarlo: il Bias che avanza con passo zoppicante per via di un incidente che avrebbe potuto strapparlo alla vita già da ragazzo, la macchina a tracolla, pronto a scattare, pronto a cogliere un dettaglio che agli altri sfuggiva.
Non sono mancati i colleghi delle più diverse testate con cui aveva collaborato negli anni: dalla storica Città Oggi a Logos, da Il Giorno a Ticino Notizie e Libera Stampa Altomilanese. Perché il Bias era così: anche dopo la nascita del suo Cam, non ha mai perso la disponibilità a condividere una foto, a mandare uno scatto a chi ne avesse avuto bisogno. Una generosità professionale che era anche e soprattutto generosità umana. Tra coloro che lo hanno salutato c’era anche Maristella Bigogno. Bienati trascorse diversi mesi con la figlia Sheryl nella missione guidata dalla magentina, un’esperienza che ricordava spesso, con orgoglio e riconoscenza. Parlava di quel periodo come di una parentesi importante della sua vita, un frammento che aveva contribuito a formarlo e ad arricchirlo, così come l’amicizia con Maristella, di cui andava sinceramente fiero.
E poi ci sono le immagini che ricordiamo dei suoi viaggi: Sudan, Bosnia, Albania, Pakistan, Palestina, Israele. Fotografie forti, crude, nate spesso in condizioni difficili, a volte rischiose. Scatti che rivelano un uomo che non aveva paura di andare incontro alla realtà, anche quando era dura, anche quando faceva male. Durante il lungo momento di ritrovo dopo il rito, i colleghi hanno condiviso ricordi e aneddoti, raccontando episodi vissuti insieme. Perché il Bias era così: diretto, schietto, incapace di nascondersi. Uno con cui si poteva parlare, discutere, persino litigare, ma sempre con la certezza che dietro ogni confronto c’era sincerità. Ciao, Bias.





















