Viviamo in un mondo in cui tutto ci infastidisce, dove fatichiamo a trovare quel momento di pace che ci meritiamo. Ciclicamente, qualcuno solleva la questione del “disturbo”, prendendosela, ad esempio, con le campane che, a Magenta, cominciano a suonare alle sei del mattino. Lo abbiamo letto, di sfuggita, anche sui social, e non è la prima volta.
Parlo personalmente in questo articolo, sia chiaro. Non so come la pensino gli altri collaboratori di Naviglioparlante, ma io sarò con le campane tutta la vita. E con questo non voglio certo ignorare chi cerca solo quel giusto momento di riposo interrotto alle sei del mattino. Bè, io la butto sulla provocazione: se vogliamo mantenere la nostra identità, dobbiamo fare un minimo di sforzo.
Allora, teniamoci queste campane, che alle sei del mattino ci avvisano che la giornata sta per cominciare. Le campane segnano momenti di gioia e di tristezza, ci ricordano l’inizio di una celebrazione religiosa o l’addio a qualcuno per sempre. Ma le campane sono anche vita e rappresentano parte della cultura di Magenta.
Ricordo, da ragazzo, quando le campane suonavano ogni mezz’ora: non mi infastidivano affatto. Quelle del campanile di San Rocco le ricordo in particolare con enorme affetto. Il suono delle campane rappresenta un legame con la nostra comunità, un senso di appartenenza che ancora conserviamo.
In una società rumorosa, dove le notifiche arrivano ogni minuto, dove il telefonino ci avvisa in continuazione e la nostra mente è bombardata da informazioni, non prendiamocela con le campane. Loro, da secoli, non fanno altro che scandire il tempo che passa e ricordarci da dove veniamo. Graziano Masperi
Se perderemo anche quel poco di memoria che ci resta, allora sì che potremo considerarci definitivamente assenti in un mondo che non ci appartiene. Definitivamente assenti.
Ps Ticino Notizie condivide alla virgola quanto sostiene l’amico e collega





















