“Se fossi stata arrestata in Ungheria, le cose sarebbero andate diversamente”. Lo dice l’ex vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili, parlando all’evento “Qatargate: affari, intrighi, politica” presso la Fondazione Corriere della Sera. “Immagino che il mio partito sarebbe stato più sensibile – continua, riferendosi al Movimento socialista panellenico (Pasok) – penso che non sarebbe importata la ma provenienza”.
“Penso che il Parlamento non avrebbe ignorato che una bambina piccola sia stata utilizzata per fini coercitivi. Ma è successo in Belgio, dove ci sono le istituzioni europee”, prosegue l’ex europarlamentare greca. Kaili rileva che nell’indagine che ha condotto al suo arresto “ci sono altri nomi di persone provenienti da Paesi europei più forti del mio che non hanno subito un processo mediatico, la percezione non è stata rivolta contro di loro. Sicuramente – prosegue l’ex deputata europea, sposata con l’italiano Francesco Giorgi, anche lui coinvolto nel Qatargate – credo che grazie all’Italia siamo arrivati a questo punto, e questo caso è totalmente diverso rispetto a come veniva inizialmente presentato”.
Questo per via della “forte storia di garantismo che invece non si riscontra nel mio partito. Non vi aspettate di vedere la giustizia gestita nell’ombra”. Secondo Kaili, se fosse vero “anche solo uno” dei fatti documentati nel libro oggetto della presentazione – “Il peccato di Eva” di Lodovica Bulian e Giuseppe Guastella, edito da Fuoriscena – e se il caso fosse successo in Italia, “tutto si sarebbe fermato, perché ci sono state così tante violazioni della legge europea e internazionale che non si possono nemmeno contare”. Nonostante questo, l’ex vicepresidente dell’Eurocamera si dice fiduciosa, “perché anche se i servizi segreti hanno detto quello che hanno detto, dicono anche che non c’è nessun legame con alcuna organizzazione criminale”, né correlazioni con le tesi avanzate quanto è esploso il caso. “I nostri legali sono pronti ad andare avanti fino a quando non verrà veramente svelata la verità, spero il prima possibile”, aggiunge.
Con lo scandalo Qatargate “abbiamo scoperto che il Belgio non è un Paese sicuro per le istituzioni europee”. Lo dice l’ex vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili, parlando all’evento “Qatargate: affari, intrighi, politica” presso la Fondazione Corriere della Sera. “Probabilmente l’Italia sarebbe stata un’opzione migliore”, aggiunge, lamentando “costante violazioni della legge europea” a Bruxelles.
Kaili, figura al centro dell’attenzione mediatica relativa allo scandalo, evidenzia di aver constatato “costanti violazioni e dossieraggi” a opera della giustizia in Belgio, dove i politici “non sono protetti da immunità, come dovrebbero essere”. Il “dogma” che seguono le autorità, spiega, “è che tutti i politici sono corrotti, e dunque si tratta solo di trovare le prove. Ciò è dato per assodato”. Questo, prosegue, è il motivo per cui l’apparato giudiziario belga “pensa di avere un lasciapassare per violare l’immunità delle istituzioni”, con “la complicità del Parlamento”, almento all’inizio, “che ha permesso che i politici fossero lasciati senza difesa”. Normale che il suo caso sia diventato un precedente, conclude l’ex europarlamentare: “vediamo cos’è successo con Huawei, accuse con prove inesistenti, politici che non possono candidarsi perché aspettano che la giustizia spieghi perché sono accusati”.
Della vicenda giudiziaria, ormai da tempo, non si hanno più notizie. Eva Kaili e Francesco Giorgi sono stati vittima del circo mediatico giudiziario. Ma attendono ancora processo e sentenze..