La dipartita di Claudia Cardinale, impareggiabile figura femminile nel film diretto da Luchino Visconti, e che porta lo stesso titolo del romanzo scritto dal principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa, mi ha spinto a scrivere queste righe per ricordare sia l’attrice che un libro e una pellicola cinematografica che hanno fatto storia, così inscindibilmente mescolati tra loro come sono, che non possono quasi più essere considerati separatamente.
Lo straordinario romanzo di questo principe siciliano è un gigantesco affresco della fine del regno borbonico da cui emerge il mondo nato dal Risorgimento che, per cinismo, non si differenzia però molto da quello appena scacciato.
Il manoscritto fu rifiutato da Mondadori ed Einaudi, (fu Vittorini a scartarlo in entrambe le case editrici), poi anche da Longanesi, e questo rifiuto provocò grande amarezza all’autore, il quale, poverino, morì di un brutto male senza aver visto riconosciuto il suo talento.
Il romanzo uscì quindi postumo, grazie al giudizio di Giorgio Bassani, che aveva capito di trovarsi tra le mani un capolavoro, e così fu editato da Feltrinelli, ed ebbe un immenso successo.
Il protagonista è Fabrizio, principe di Salina, un nobile raffinato e colto che guarda questo cambiamento epocale con occhi disincantati e critici; egli comprende che la vittoria delle forze garibaldine e piemontesi su quelle borboniche non porterà il progresso e lo sviluppo sociale promessi, che gli sforzi eroici delle camicie rosse, cui si sono aggiunti quelli dell’esercito regolare sabaudo, non creeranno un mondo più giusto, perché i Savoia hanno furbescamente approfittato della situazione per impadronirsi del meridione d’Italia e sostituirsi ai Borboni, una monarchia che sarà più efficiente, ma ugualmente burocratica e farraginosa.
Il principe, che è poi uno dei Gattopardi, ovvero un rappresentante della vecchia nobilità, osserva l’arrampicata sociale in cui la ricca borghesia anela a sostituirsi alla nobiltà impadronendosi del potere, criticando questo spregevole trasformismo di cui, figura eclatante, è Calogero Sedara, suo fattore, che si è arricchito con la corruzione, e che propone al principe di combinare un matrimonio tra la sua bellissima figlia Angelica e Tancredi, il nobile ma spiantato nipote del nobile, quel Tancredi, che rappresenta il punto di passaggio tra il vecchio e il nuovo mondo, e che indossando l’abito del rivoluzionario e poi quello di ufficiale dell’esercito piemontese, seppur nobile, rimane sempre in sella perché ha saputo adeguarsi al cambiamento, tanto che quando parte per fare la rivoluzione dice allo zio che lo sovvenziona, la famosa frase: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, ed è proprio grazie al matrimonio con Angelica che egli fonde l’aristocrazia con la borghesia.
Angelica rappresenta quindi il mondo nuovo, cui si entra a far parte grazie al denaro, alla bellezza e alla spregiudicatezza, ma l’amore che nasce tra lei e Tancredi è sincero: è quello di due giovani che vivono il momento magico dell’ebbrezza della passione; insomma, tra tutte le figure femminili presenti nel romanzo e nel film, quella di Angelica Sedara è la più fulgida, quella che emerge su tutte le altre invisibili e insignificanti donne, come la principessa di Salina che vive un’esistenza incolore all’ombra del marito, o Concetta, che timida e religiosa sogna invano di sposare il Cugino Tancredi; e altrettanto sbiadite sono le giovani che partecipano al ballo (in cui la nobiltà siciliana festeggia il superamento del pericolo rivoluzionario) e che al principe paiono scimmiette ammaestrate, frutto come sono di matrimoni dell’élite nobiliare, e del ristretto ambiente sociale in cui vivono. Angelica spicca sulle altre non solo per la sua bellezza, ma perché è audace e disinvolta, e con questo suo modo di essere, una volta sposata aiuterà nella scalata sociale l’aristocratico e bel marito, e tutto ciò mentre il vecchio mondo rappresentato dagli antichi palazzi, dalle istituzioni e consolidate abitudini aristocratiche, si disgrega per giungere alla sua morte.
Significativo quando Fabrizio balla con Angelica il memorabile valzer: egli sa che per lui quello è l’ultimo ballo, un ballo durante il quale ha però l’illusione di essere ancora giovane: ma finita la musica, l’incanto termina, è ben conscio che la giovinezza se n’è andata, che il suo mondo sta sparendo, e quindi pensa a far restaurare la cappella di famiglia, perché sente che la fine si avvicina.
“Il Gattopardo” un romanzo e un film che vi consiglio di rileggere e rivedere.
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