Quest’anno, per Lugano International Endorfine Festival, ho scelto un ospite poliedrico e brioso, capace di regalare un’ora e mazza di puro divertimento, pur senza farci mancare le riflessioni scaturite da cinquant’anni di vita trascorsa tra cinema, televisione, radio e libri da lui pubblicati, con grandissimo e crescente successo, nonché dalla condivisione della propria esistenza con gli affetti più cari, come il padre, forse per lui il più importante esempio.
Ed è proprio da questo rapporto con il genitore, che è nato l’ultimo libro pubblicato, in ordine di successione: “Balleremo la musica che suonano”, edito da Mondadori, metafora di un cammino compiuto adattandosi a ciò che si presenta.
Poliedrico certo, ma con delle dimensioni preferite, come la radio, che gli permette maggiormente di essere sé stesso e più immediato, e che forse gli permette di approfondire quella indagine di sé che è il suo senso di una vita, nella quale non si identifica con il lavoro che fa, la sua identità è molto di più o potrebbe sgretolarsi, il giorno che tutto dovesse finire.
Fabio Volo: un autore che ha saputo cogliere sempre l’attimo e lasciarsi trascinare dalla marea, nel bene e nel male; e se non sempre, nei primi anni della sua carriera, i suoi sforzi erano stati premiati, alla fine il successo è arrivato in modo dirompente e gli ha dato ragione.
Volo ha motivato questi passaggi necessari con una vera e propria “fame”, anche reale: si definisce come colui che ha sempre lavorato (il padre aveva un panificio), senza sogni particolari né speciali talenti, né concrete specializzazioni, a parte l’infinita e vorace passione per una lettura onnivora: a sostenerlo solo la determinazione e la disciplina del tipico lavoratore, nonché un’ossessione sana per ciò che si propone di volta in volta di realizzare, forse in un modo quasi un po’ magico.
Dalle serate conducendo il karaoke, poi cantando in playback, racconti conditi da irresistibili aneddoti che oggi rendono godibili e divertenti, momenti che a quei tempi, lo fecero persino piangere ed interrogare se avesse scelto la strada giusta, cosciente che tornare indietro non fosse ormai più possibile.
“L’amore incondizionato dei miei genitori è stata la spinta ad andare nel mondo con tutto un altro vestito, penso che per chi non ha avuto questo privilegio, sia stata tutta un’altra cosa. Per loro l’amore nei miei confronti non era vincolato a cosa guadagnassi o se fossi un avvocato piuttosto che uno spazzino; ma per non farli soffrire, non raccontavo loro dei mie primi cocenti fallimenti…”
E poi c’è stata una parentesi dedicata dallo scrittore al rapporto con la scuola, con tutti i suoi dolori e fatiche, con corollari vari di materie ostiche e giudicate un peso, e le interazioni con docenti e compagni.
In realtà Volo si descrive come un ragazzino che in famiglia stava benissimo, che si sentiva realizzato ed utile e che anche in seguito, ha sempre desiderato continuare ad aiutare.
“Certamente una specializzazione è imprescindibile se si vuole intraprendere un mestiere come il medico o l’architetto ma, se ci riferiamo alla cultura la scuola, con i suoi programmi spesso non ben organizzati e penso alla letteratura in particolare, non è esattamente la culla migliore per coltivarla”.
Una conversazione al contempo molto sincera e scevra da ipocrisie, sia riguardo a sé stesso che al mondo attuale, che ha sollevato continui scrosci di applausi; non da ultimo, originale nel modo di raccontare ad esempio la propria costruzione creativa:
“La creatività dovete immaginarla come quando si visita una città: se lo fate a piedi, in auto o in metropolitana, ogni volta ne conoscerete un aspetto differente. Dipende poi dallo scopo e dal mezzo: se debbo utilizzare una creatività che richieda dei soldi, come quando voglio girare un film… Se debbo inserirvi 20 pony rosa, mi occorreranno un sacco di soldi; se li descrivo in un libro, sono gratis e ne posso mettere anche mille!”.
A presentare e moderare l’incontro con il pubblico, il giornalista Sacha Dalcol, che ha introdotto la conversazione con una domanda pregnante sulla libertà di espressione, tema caldo di questi ultimi anni: esiste ancora? È ancora possibile?
“Ritengo che il potere da sempre difende sé stesso. Solo che una volta lo faceva in modo più nascosto, un po’ come accadeva nella Massoneria; invece oggi lo fa a viso scoperto, quasi sfacciato. Oggi la comunicazione è improntata addirittura alla prepotenza e all’arroganza, che si può rilevare nel momento in cui se qualcuno dice la sua uscendo dal binario stabilito, viene praticamente aggredito. Io non mi sono mai trattenuto. Fin da giovane ero incosciente, figurarsi adesso che sono abbastanza ricco da potermelo permettere”, ha risposto, suscitando uno scoppio di stupita ilarità, in sala.
Secondo l’autore è incomprensibile il fatto che persone che come lui hanno raggiunto una posizione, ancora non vogliano esprimersi; lui continuerà a farlo, lo reputa un dovere, anche se non dovesse lavorare più.
Addentrandosi sulla scintilla che ha portato alla luce l’ultimo libro, spiega subito che non è da considerarsi autobiografico.
“È il frutto del mio amore per la lettura, nato a 14 anni e grazie al quale ho scoperto che non è vero che una fetta di persone è destinata a fare cose fantastiche mentre altre dovranno faticare e basta. Ognuno di noi ha il suo posto nel mondo e lo deve cercare. Nessuno è inutile! Da Leopardi a Shakespeare a Dante, passando per Dostoevskij, il punto fondamentale è che se ognuno segue la sua stella, concetto dantesco, non si potrà sbagliare”.
La fede e la meditazione sono altrettanto importanti per lui e la seconda specialmente, l’ha aiutato a distaccarsi e nella comprensione di come il sentire sia più importante del pensiero, che spesso conduce a rimuginamenti e preoccupazioni martellanti ed inutili, che possono anche dividere le persone.
I libri sono da lui visti come dei veri amici, come qualcuno che ti può essere veramente vicino.
Tra le esperienze più segnanti che ha vissuto, quella incredibile in Amazzonia, dove la famiglia e soprattutto i figli hanno vissuto con lui per un mese, per sperimentare la vita senza dispositivi e a contatto con la natura profonda. Un modo a suo dire anche di offrir loro uno stimolo completamente nuovo, che potrà un giorno aiutarli a sviluppare quel talento unico indispensabile nella vita. I suoi figli, già divisi tra origini islandesi da parte di madre e bresciane, da parte di padre, beneficiano certamente già di vasti orizzonti:
“Quei ragazzi che non trovano la propria strada, forse semplicemente non sono stati esposti agli stimoli giusti”.
Monica Mazzei
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