Questa città, fondata dai Romani nel I sec. a.C. sopra un abitato celtico, oggi non si chiama più così, ma Ivrea, eppure gli abitanti hanno mantenuto l’antico nome di eporediesi a memoria di quel passato.
Il piccolo centro storico era un tempo protetto da una doppia cinta muraria, sostituita da una circonvallazione che corre lungo la passeggiata che costeggia la Dora Báltea e che poi sale nella parte alta dove sorgono il Castello e il Duomo.
Il Castello, dalle slanciate torri cilindriche, fu eretto nel 1585 dal Conte Verde, così soprannominato perché diciannovenne partecipò ad un torneo indossando sia lui che il cavallo quel colore che gli piaceva oltremodo, tanto che da quel giorno, scudieri, servi, arredi e armatura li volle sempre verdi. De gustibus non est disputandum.
Il Duomo gli sorge limitrofo, e se la sua facciata è neoclassica, risale però al X sec. Conserva un’interessante cripta con tracce di affreschi del XIII secolo, e il bel sarcofago romano del questore, nonché edile e giudice delle cinque decurie di Eporedia: Caio Atecio Valerio, usato dai cristiani nei secoli a venire come urna funeraria per le reliquie di San Besso.
Nella parte bassa si trova il Museo Civico Pier Alessandro Garda che ospita una collezione archeologica con reperti come la stele del gromatico che veniva usata per la centuriazione, oggetti di vita quotidiana, pregevoli lesene scolpite, oggetti legati al culto dei defunti; pregevolissimo, nella sezione del medioevo e del rinascimento, è l’insieme di statue lignee tardogotiche raffiguranti un’Adorazione dei Magi; ecco poi la collezione Croff che raccoglie dipinti di varie epoche e autori, tra i quali Neri di Bicci, Bergognone, Annibale Carracci, Filadelfio Simi, Giorgio De Chirico, ma incredibilmente anche, servizi da tavola: uno bavarese da dodici in porcellana bianca, servizi per il tè e il caffè della Richard-Ginori, ed altri sempre di alta qualità materica ed estetica, tra cui una tazza da brodo, con decoro a figure, realizzata a Palermo alla fine del Settecento.
Affascinanti le sezioni di arte cinese con preziose ceramiche, e tra queste, gli imprescindibili oggetti del funzionario-letterato giapponese, che doveva dedicarsi alla lettura e alla scrittura, ma altresì alla pittura, alla musica e ai giochi da tavolo, ecco quindi poggia pennelli, dosatori per l’acqua, sciacqua pennelli, pesi per tenere il posizione il foglio e paraschizzi e, l’immancabile bruciaprofumi. Nella sezione giapponese bello il completo per la cerimonia del tè, rituale areligioso, con la ciotola che dev’essere piacevole al tatto e il cui colore deve esaltare quello della bevanda; ma anche bottiglie per il sakè coi relativi bicchierini, vasi con samurai, piatti con deliziose dame in kimono…
Il museo è sede di mostre temporanee; quella intitolata “Olivetti e i fotografi della Magnum” è visitabile sino al 26 ottobre 2025.
Per informazioni: https://www.museogardaivrea.it/
A cura di Luciana Benotto