127 milioni di dollari i fondi raccolti (equivalenti a 300-350 milioni di dollari odierni), ed una diretta quasi mondiale della durata di 16 ore (con la differenza di fuso orario, la trasmissione terminò prima in Europa), e due palchi, uno inglese ed uno americano, per l’esibizione di oltre 70 artisti.
Circa 2 miliardi gli spettatori incollati agli schermi televisivi; ed un totale di circa 72’000 spettatori in carne ed ossa a Londra, in contemporanea a 90’000 americani, a Filadelfia. Non bisogna infine trascurare di ricordare l’incredibile e straordinario impiego di tecnologie avanzate, per la prima volta, per quell’epoca.
Queste le cifre di LIVE AID, che il 13 luglio 2025 ha celebrato il suo quarantennale.
LIVE AID – IL SUONO DI UN’ERA”, edito da TSUNAMI EDIZIONI, e’ una pubblicazione ad opera dell’autore GABRIELE MEDEOT, che si prefigge di ricordare questo straordinario evento, unico nel suo genere, e ci riesce, inchiodandoti sino all’ultima riga, grazie alla trepidazione che può suscitare solo la più grande delle avventure.
Inoltre ribalta completamente quella concezione negativa rimasta ai più sugli anni Ottanta, grazie ad una risonanza e divulgazione molto critiche, che li descrivono come un periodo edonistico e niente altro.
In realtà, stiamo parlando forse dell’ultimo grande periodo storico-musicale pervaso da un grandissimo idealismo e spesso, anche da una quasi tenera ingenuità.
Gabriele Medeot ha inoltre l’indiscutibile pregio e talento di ricostruire un decennio, collegando in modo scorrevole e di semplice comprensione, brani, artisti ed avvenimenti tra i più significativi di alcuni tra gli anni più importanti di quel tempo, che ancora oggi influenzano le nostre vite.
Il libro è narrato in modo sapiente e particolare: ad un certo punto, è quasi romanzato nei dialoghi e nelle situazioni.
Non pare un libro semplicemente sulla Band Aid: è la storia di Bob Geldof. Riviviamo grazie a questa pubblicazione, i momenti più importanti ed eccezionali della sua vita.
Protagonista è l’incredibile spontaneità con la quale questi progetti furono realizzati.
Qualcosa che pure sbalordisce, e’ come Geldof fosse portato per realizzare progetti di una portata grandiosa, ma forse un po’ meno per accrescere la propria carriera e per se stesso.
Ma la cosa che più conta, è che si parla di un evento monumentale ed unico nel suo genere, che raccolse miliardi, interamente gestiti da Band Aid (segnatamente Bob Geldof), per sincerarsi che tutto fosse devoluto a destinazione.
Gli artisti e gli organizzatori non presero nulla, nemmeno rimborsi; e lo stesso Geldof si trovò spesso in tali difficoltà da rischiare persino la casa.
L’INTERVISTA A GABRIELE MEDEOT
1. Prima di tutto, come lettrice il la ringrazio per questo libro. E’ un documento storico e dettagliato assolutamente eccezionale. E ti da l’impressione di essere lì.
Iniziamo dal tema centrale del libro, venendo al nocciolo: non è solamente della band Aid e del live Aid che si narra? Possiamo dire che il contenuto ci accompagna a conoscerne l’indiscusso protagonista… Questo protagonista possiamo definirlo eroico.
“Direi proprio di si se ci riferiamo a Bob Geldof che ne fu cuore e anima, per certi versi di tutti gli anni Ottanta, perché li identifica e rappresenta. Raggiunse l’apice del successo ed ebbe anche una caduta, ma non senza mai rialzarsi. È proprio questo che lui ci insegna: a non arrendersi mai. Quindi possiamo davvero dire che questa è anche la sua storia. ”
– A proposito di questo, mi aggancio subito ad una curiosità. Il 16 sarà presente ad un concerto italiano di Geldof: lui sa di questo libro? Gliene parlerà? (ndr: l’intervista è stata realizzata il giorno prima)
“Gliene parlerò sicuramente. Per me è un privilegio poter essere presente all’unica data italiana del suo tour internazionale dei Boomtown Rats. Non solo sarò presente ma sono stato proprio invitato, anche allo scopo di presentare il libro. Quindi farò questo circa un’oretta e mezza prima della sua performance. Spero e dovrei proprio riuscire a scambiare qualche parola.”
2. Live Aid ebbe portata mondiale. Fu il primo evento di una durata pazzesca, 16 ore, in collegamento da stazioni televisive di tutto il mondo. Che tipo di risonanza ebbe in Italia e che commenti suscitò?
“L’Italia fu uno dei pochi Paesi a non agganciarsi come protagonista all’evento in diretta. Questo perché c’erano rimandi internazionali dall’Austria piuttosto che la Russia e molti altri Paesi del Nord. L’Italia per una serie di difficoltà tecniche, arrivò tardi sulla tabella di marcia e non riuscì a trovare la formula giusta per partecipare in modo più attivo. Fu comunque trasmesso in televisione. Io lo vidi in TV ed ebbe una grande influenza, al punto che qualche mese dopo, da noi venne organizzato il ‘Circo Massimo’, ossia qualche cosa per cercare di sfruttare la lunga coda della risonanza. Dopodiché non se ne parlò più di quel tanto, l’evento inconfutabile si era svolto il 13 luglio”.
3. Cosa prova tutte le volte che ricorda quel periodo e quell’avvenimento?
“Una grandissima emozione ed una sconfinata ammirazione nei confronti di quel coraggio, nei confronti di quell’esempio. Io guardo sempre a quei fatti con la volontà di trovare il meglio da ogni singola azione, ogni singola performance, andando assolutamente oltre a tutte quelle che sono poi le polemiche i problemi tecnici, e le discussioni che si fanno sulla qualità della performance. Trovo che siano tutte irrilevanti. Ciò che conta è il senso di ciò che è stato fatto.”
4. Quasi nessuno lo sa, ma la mole di lavoro svolto da Geldof per la realizzazione di disco e live, fu monumentale…
“Si anche perché di base anche se aveva dei collaboratori, era come se fosse solo. All’inizio è proprio lui, Bob Geldof ad avere questa idea, e ad accentare per la Band Aid tutti gli artisti, e poi a controllare che tutto venga fatto al meglio e nei tempi. Cercò anche di andare incontro alle esigenze di tutti. In seguito nella gestione entrarono anche personaggi importanti.”
5. Da ieri sono esattamente 40 anni dal giorno che lei definisce come la fine della sua vita da bambino. Cosa le fa dire questo?
“Il fatto che quella giornata anche se inconsapevolmente mise un seme definitivo in quella che poi sarebbe stata la mia vita. I semi della musica c’erano già e stavano germogliando, però quello fu in qualche modo il tassello che sarebbe andato ad inserirsi e non si sarebbe mai più tolto, tenendomi sempre in bolla, come si suol dire”.
6. Lei ha assemblato una personale playlist con la quale ama ricordare quegli anni. Quali sono i brani che personalmente ama di più riascoltare quando ripensa al quel decennio e a quell’evento?
“Quando ripenso a quell’evento in particolare, ricordo alcune canzoni come quella degli U2, di Costello, quelle di Phil Collins. Sono le esibizioni che amo particolarmente. Del decennio invece, debbo dire che le canzoni che sono inserite all’inizio di ogni capitolo, sono proprio quei brani che mi accompagnavano all’epoca e che ho voluto consegnare alle pagine del volume. Sono sicuro che tutti coloro che vivevano anno per anno quei momenti, alla stessa età che avevo io, si sentiranno riportare a quel periodo da un punto di vista emotivo”.
7. Il libro è molto bello, emozionante e scorrevole. Ma come ha reperito dettagli particolari come lo stato d’animo di Geldof, nei momenti per esempio in cui la sua morale e sensibilità gli impedivano di farsi immortalare con bimbi che morivano di fame o lo facevano sentire in colpa, a partecipare a trasmissioni per parlarne, come se temesse di mettere in mostra se stesso?
“Le ho reperite facendo la cosa che a me piace di più: studiare! Ho ricercato tanto, ho letto tanto, nel corso di anni, naturalmente, ma soprattutto negli ultimi 5 anni. E poi ho fatto quello che io definisco scherzando ‘unire i puntini’. Quindi ritrovare molte informazioni sparse su molte fonti, e riuscire poi a crearne una unica, è una azione che trovo stimolante. Quei dialoghi, quelle informazioni a cui si fa riferimento, sono tratte da altrettante fonti, altrettanti libri, altrettante interviste, documentazioni che sono state da me super verificate!”
8. Possiamo dividere gli anni Ottanta in due correnti, quasi due corsie?
“Si, anzi li divido in tre corsie! Per iniziare, nel ‘pre-Live Aid’, poi negli anni centrali ed infine, nel ‘post’. Questo perché secondo me, come spiego anche nel libro, sino all”83 si svolge la prima parte. Questo perché ufficialmente eravamo negli anni Ottanta ma in realtà si respirava ancora molto dei Settanta. Dall”84 e più o meno sino all”86, si apre davvero la bordata centrale, con il suo momento emotivo e catartico di quel decennio, con le sue innovazioni, la partenza, il rinnovo… Quella che io definisco la trasformazione. E poi, dall”87 e concedo sino all”88 in avanti, si snoda la coda lunga come la definisco, che in realtà ci stava già conducendo negli anni Novanta: ci portava verso la caduta di quel Muro di Berlino che identifica in modo ideale quella che sarà la corsia che ci travolgerà… I Novanta saranno anni devastanti con le varie guerre che li hanno caratterizzati. Dai Balcani al Kuwait, la Cecenia e tutto ciò che è successo.”
9. Pur senza svelare il libro, può raccontarci almeno un aneddoto affascinante di un artista che sia avvenuto sul palco del Live Aid?
“Si ci sono in effetti tanti aneddoti nel volume, ma quello che mi piace di più raccontare perché mi fa sorridere, è quello di Bryan Ferry che non voleva assolutamente partecipare a questo concerto, perché aveva paura che tecnicamente non sarebbe stato all’altezza dei tempi per esempio. E poi non avrebbe avuto neanche la band, perché era impegnata in altro. Mise insieme allora una All Stars Band ma quando si esibiranno al primo colpo di batteria, il batterista sfonderà la pelle della batteria, e Gilmour dei Pink Floyd non si sentirà addirittura perché la chitarra non andava e il microfono di Ferry non funzionerà… Gliene daranno un altro e ne avrà due e… si troverà ad alternarsi tra l’uno e l’altro, perché non aveva capito o non gli avevano spiegato in quale dei due dovesse cantare! Diciamo che non ha un bel ricordo di quel giorno… (ride). Ma in fondo ciò fu irrilevante anche per lui, rispetto all’azione di esserci. Non ci fu mai nessuna polemica da parte di nessun artista, riguardo i problemi tecnici che ci furono”.
10. Ci sono delle chicche preziose alle quali lei accenna sul suo profilo Instagram, ma che non ha svelato, come la canzone scelta da Elvis Costello. durante il live Aid. Si trovano nel suo libro “LIVE AID – IL SUO DI UN’ERA”, edito da TSUNAMI EDIZIONI. Possiamo però spiegare qual era il messaggio fondamentale di questa iniziativa, proprio collegandoci alla scelta operata da Costello?
“Si esatto: il messaggio era che noi abbiamo bisogno di amore insieme a quello che si può fare di più, come disse Sting in quella occasione. E questa trasformazione partì proprio dal momento preciso del Live Aid. Prima di quel momento, non era necessariamente così: l’anno prima, nell”84, i Van Halen pubblicano proprio un album omonimo, molto particolare per contenuti e per musica, mentre Bruce Springsteen pubblica “Born in the USA”, che non è proprio un disco di affermazione del sentimento… Invece dalla metà degli anni Ottanta, con questo evento, succede proprio questo: nasce la necessità di raccontare in un certo modo, come Cindy Lauper che canta ‘True Colors’, ossia i colori dell’anima. Si voleva aprire il cuore in un momento in cui si parlava di Apartheid, di discriminazione, di AIDS, e della paura di essere ghettizzato perché eri omosessuale. Quello è il momento in cui cambiano le cose!”
11. Possiamo dire che l’Occidente attuale è l’erede evidente del sistema economico globale neo liberista anni Ottanta (Mercato libero e cinismo). Ma l’identità musicale come potremmo definirla oggi?
“È una identità musicale assolutamente ibrida. Una identità cinica che rispecchia comunque il momento politico che stiamo vivendo. La musica è figlia dei tempi, o meglio, racconta i tempi. Io sostengo che la musica sia bella che pronta su un tavolo perfettamente imbandito da sempre, da quando l’uomo compare sulla Terra. Solo che poi è l’uomo in base alla propria esperienza ed intelligenza a doverla usare, con gli elementi che conosce. Ecco perché nel corso del tempo, la musica cambia: non diventa di più o di meno, ma mentre l’uomo di Neanderthal batteva con la clava, Mozart invece prese a piene mani da quel tavolo, o i Led Zeppelin presero solo una parte di quei suoni… E noi oggi prendiamo nostra volta quel che siamo capaci di prendere… Rappresentando ciò che siamo culturalmente”.
12. E cosa possiamo dire dell’Italia di quel periodo?
“L’Italia resta un Paese eccezionale, che nel corso della storia è stato la culla della musica dall’opera alla musica sacra, passando poi nel corso dei secoli… Il bel canto è ciò che in qualche modo ci identifica e ci ha un po’ condannati: Bob Geldof viene definito quello del Live Aid. Ma noi sappiamo benissimo che lui non è solo questo. Allo stesso tempo, l’Italia non è solo quella del bel canto. Per tradizione e per cultura siamo però molto attratti da ciò che accade al di fuori dei nostri confini, e soprattutto negli anni Ottanta quando quella sana ingenuità caratterizzava buona parte della nostra popolazione, perché stavamo uscendo dalla crisi economica, ci stavamo tuffando in un mondo sconosciuto e affascinante, guardavamo ciò che arrivava dall’Inghilterra, dall’America, ed era forse ancora più affascinante di ciò che era successo prima, negli anni Quaranta e Sessanta o nei Settanta con il proghel e l’hard rock. Quindi, a mio avviso abbiamo semplicemente continuato sulla scia culturale nella quale siamo inseriti, e noi ci facciamo un po’ trasportare…”
13. Come reagiscono i lettori al suo libro? È difficile promuoverlo nell’era di Internet?
“Diciamo che spero di no. La mia sensazione è che i lettori, che sono sempre di più, ne abbiano capito bene il senso. Si tratta di un libro con la volontà di rendere omaggio a qualcosa di esemplare. Per esempio non è una cronistoria o un elenco di cosa è stato cantato a tale orario. Quindi non è difficile promuoverlo, perché sono convinto che abbiamo bisogno di parlare di cose belle”.
14. La domanda finale riguarda l’inevitabile amarezza di una parte di soldi andata in tasche niente affatto umanitarie, come i trafficanti. A chi o cosa possiamo dare la colpa di ciò?
“Secondo me la possiamo dare a quella sana ingenuità della quale parlavo prima. Ingenuità che porta ad avere una smisurata fiducia negli altri. Più precisamente, nei confronti di coloro che poi avrebbero ricevuto i soldi per usarli ma chi ne aveva bisogno e stava morendo di stenti. E invece… Si scopre vivendo che l’interesse personale è fin troppo spesso messo davanti all’interesse collettivo. Oggi sicuramente si farebbero più controlli. Verrebbero gestiti in maniera diversa, grazie alla tracciabilità di alto profilo, ad esempio. Ma non sono così convinto che cmq neanche oggi il 100% dei soldi andrebbero nelle mani giuste. Sicuramente non si pensò anche ad un dettaglio evidente, ossia che una volta raccolti tutti soldi, nessuno avrebbe messo a disposizione gratuitamente mezzi come navi e aerei, per portare a destinazione gli aiuti. Ingenuamente si era dato per scontato di sì; invece questo costo qualcuno di quei milioni ottenuti dalla gente comune.”
15. Pensando ad altri lati di questo decennio, è possibile che decida di pubblicare una continuazione?
“Diciamo che un po’ di cose ho dovuto ometterle, proprio perché il mio editore stesso, mio grande amico, mi disse subito che non potevo metterci tutto. Ma vista in quest’ottica, invece di tornare sul decennio, potrei considerare di scrivere un libro sull’influenza che gli Ottanta hanno avuto sugli anni a venire. Forse è qualcosa che valuterò tra un po’.”
16. Domanda sulla distribuzione del volume: in che forma e canali è disponibile alla vendita ed in che modo continua la promozione?
“I libro lo si può acquistare su tutti gli store, online invece sul sito dell’editore, oppure ordinandolo sul mio sito, che è gabrielemedeot.com . Ed infine almeno in buona parte delle migliori librerie. Il 16 sarò appunto a Pordenone in occasione anche del live di Geldof (al momento della pubblicazione dell’intervista, l’appuntamento sarà già passato), il 18 luglio sarò a Trieste, alla Libreria Café San Marco, mentre il 29 luglio sarò a Palmanova, in una bellissima piazza, e poi a settembre avrò molti nuovi appuntamenti. Faremo una pausa estiva. Poi saremo di nuovo a Bologna, a Roma, probabilmente di nuovo a Firenze, ecc ecc”.
Monica Mazzei
freelance culturale per
TicinoNotizie.it