I “reperti” del delitto di Garlasco sono stati venduti o distrutti se privi di “valore economico”. Sono stati conservati e inseriti nel “fascicolo d’ufficio” solo i “documenti”.
È quanto si legge in due sentenze della Corte d’assise d’appello di Milano del settembre 2021 e del febbraio 2022 che hanno disposto, dopo aver sentito i difensori della famiglia di Chiara Poggi e di Alberto Stasi, la “restituzione” di alcuni beni e la “vendita” di altri a distanza di 14 anni dall’omicidio, di 6 anni dalla sentenza definitiva di condanna per Stasi e dal tentativo di “revisione” del processo bocciato dalla Corte d’appello di Brescia e dalla Corte di Cassazione. Nell’elenco corpi di reato allegato alle sentenze non compare mai la ‘traccia 33’, l’intonaco sul muro grattato dalla seconda parete destra della scala dove fu trovato il cadavere della 26enne e trattato con la ninidrina per isolare l’impronta palmare che oggi la Procura di Pavia attribuisce ad Andrea Sempio, di cui sono alla ricerca i carabinieri del Nucleo investigativo di Milano negli archivi del Ris e nel Dipartimento di medicina legale di Pavia. Tre anni fa il collegio, presieduto dalla giudice Ivana Caputo (giudice a latere Franca Anelli), ha ordinato la distruzione o la vendita di tutti i “beni in sequestro” anche se “non contenuti” nell’elenco corpi di reato.
La difesa Stasi, con l’avvocata Giada Bocellari, si era in parte opposta al provvedimento chiedendo e ottenendo la restituzione di alcuni oggetti fra cui: la bicicletta nera da donna ‘Holland’, sequestrata alla madre di Stasi nel 2014 nel processo d’appello bis, e altre due biciclette ‘Umberto dei Milano’ e ‘Girardengo’, una roncola, un attrezzo metallico per la raccolta di ceneri da camino, un martello, una serie di scarpe e vestiario, materiale elettronico, fazzoletti con macchie di sangue. Non era stata accolta invece la richiesta di “conservazione” di alcuni reperti “sottoposti ad accertamenti tecnici nel corso delle indagini, in vista di una possibile evoluzione scientifica” e per essere sottoposti a “eventuali ulteriori esami che l’evoluzione tecnico scientifica dovesse consentire di svolgere”.
La legale aveva indicato in particolare magliette, orecchini, gioielli e orologi indossati da Chiara Poggi, una sedia in legno e il “tappetino del bagno al pianoterra su cui è impressa un’impronta di scarpa insanguinata” e un “frammento ritagliato” dallo stesso durante gli accertamenti irripetibili svolti nel corso dell’inchiesta.