La Profezia incompiuta di Papa Bergoglio

'Vorrei ma non posso, ci penserà il mio successore' rispose Bergoglio a chi gli chiedeva della piena parità ecclesiale delle donne e della revoca della condanna del modernismo teologico".

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Di Jorge Mario Bergoglio numquam satis, non si dirà mai abbastanza, si potrebbe subito concludere citando una massima teologica.

Oltre a determinare gli ultimi effetti post mortem, in considerazione dell’elezione del successore, il bilancio dei 12 anni di pontificato di Papa Francesco presenta infatti una continua e profonda linea di tensione e di frattura con l’assetto della Chiesa Universale che aveva ereditato.

L’assetto contraddittorio di un Concilio Ecumenico recepito superficialmente e di un confronto irrisolto e sempre più critico con la tumultuosa evoluzione tecnologica che rivoluziona quotidianamente l’intera umanità.

Da Gesuita, insieme pervicacemente tradizionalista e di frontiera, quasi una trasfigurazione dello spirito rivoluzionario del paradigmatico film Mission, Bergoglio era ben conscio molto prima del Conclave che il 13 marzo 2013 lo ha eletto Sommo Pontefice, che la Chiesa di Montini e Woityla, per non dire del papato interruptus di Ratzinger, era impantanata nel bel mezzo del fiume in piena di un Concilio storicizzato, senza essere stato sostanzialmente attuato.

Un’ Ecclesia prossima a precipitare lungo le cascate epocali dell’esponenziale accelerazione digitale moltiplicatrice della secolarizzazione.

Prospettiva colta da Papa Francesco, ma rimasta senza risposte. ‘Vorrei ma non posso, ci penserà il mio successore’ rispose Bergoglio a chi gli chiedeva della piena parità ecclesiale delle donne e della revoca della condanna del modernismo teologico.
Il mancato adeguamento del messaggio cristiano alla luce delle istanze della società contemporanea rappresenta la grande occasione mancata del Pontificato. Anzi, una doppia occasione mancata, perché inizialmente l’intenzione pubblicamente dichiarata, fin dal pre-conclave, era quella di disincagliare la Chiesa dagli scogli della tradizione medioevale e proiettarla nel nuovo millennio.

Il bilancio del Pontificato di Francesco inizia infatti nelle favelas di Buenos Aires prima dell’elezione al Soglio di Pietro. Ed é un bilancio ancora incongruo, pervaso da discontinuità e contrasti. Dal fervore dell’inizio, sulla scia delle critiche del teologo dissidente Hans Kung all’infallibilità (“È il Papa che esiste per la Chiesa, non la Chiesa per il Papa. Il suo primato non é un primato di potere, ma di servizio”) all’epilogo tutto incentrato sul decisionismo di Bergoglio, in attesa del giudizio complessivo della Storia non rimane che constatare comunque come mai un Papa, fin dai tempi dello Scisma d’Occidente, sia stato così amato e, allo stesso tempo, così mal sopportato e avversato. Acclamato dalle folle in tutto il mondo, soprattutto in Africa e America Latina, come Giovanni Paolo II che nel Concistoro del 2001 l’aveva creato Cardinale, ed odiato più Giovanni XXIII dai circoli conservatori olandesi, tedeschi e statunitensi, che non si sono trattenuti dal definirlo “antipapa”.Tanto amato e detestato da ricordare la celebre definizione di Voltaire: “Il papa é un idolo a cui si legano le mani e si baciano i piedi.” E’ il destino comune dei Gesuiti, energici soldati di Cristo caratterialmente e culturalmente plasmati sulle regole del discernimento di Sant’Ignazio di Loyola.

Regole che sottengono l’esercizio del potere e l’obbedienza assoluta, perinde ac cadaver, per il bene della Chiesa. A dispetto della vulgata che l’ha dipinto di volta in volta come marxista, rivoluzionario, vicino alla Teologia della Liberazione, la sua non é mai stata una dottrina opposta e di rottura rispetto a quella dei predecessori.
Pur avendo sempre predicato secondo il metodo catechistico gesuitico una “teologia delle tre T”, tierra, techo, trabajo, Bergoglio non é mai stato marxista o anarchico ed ha anzi combattuto efficacemente la Teologia della Liberazione che dilagava nell’America Latina. Da subito, dall’inedito “buonasera” dell’esordio dopo l’habemus Papam, l’approccio di Francesco é stato pastorale e non dottrinale o teologico. Con una cordiale e sincera disponibilità al dialogo, l’attenzione per i poveri, i lontani e i diversi.

Principi popolari e in linea con lo spirito dei tempi, scambiati per gesti rivoluzionari destinati a trasformare profondamente la Curia vaticana, mentre invece il Pontefice tentava di trasfigurare la Chiesa in un ospedale da campo per l’assistenza agli umili e ai bisognosi, per l’accoglienza dei migranti. Lo evidenziano le cronache dei viaggi pastorali lungo le periferie del mondo, nei luoghi più remoti della Terra, là dove i cattolici o anche le altre minoranze religiose non hanno voce, sono perseguitati e privati dei più elementari diritti.
Come nel caso dei Rohingya del Myanmar, o dei nativi del Canada, convertiti a forza e vittime di abusi e con i quali il Papa ha pregato, nei loro luoghi, per “risanare le ferite del terribile effetto della colonizzazione e cristianizzazione forzata”. Molteplici i motivi che hanno innescato reazioni e calunnie a tutti i livelli: intanto per le stesse mete dei viaggi apostolici che hanno disegnato una personalissima “mappa ecumenica” fuori dagli schemi; poi per le attenzioni e le aperture ai gay ed ai divorziati; e quasi a fare da contrappeso i severi controlli nei seminari per arginare l’omosessualità dilagante; il continuo richiamo a non respingere i migranti; il pacifismo internazionale non tendenzialmente filo occidentale; l’intransigente denuncia dei responsabili e il perseguimento a tutti i livelli, parrocchiali, episcopali e cardinalizi dei casi di pedofilia; le nomine a Porporati di umili Pastori e non di Vescovi titolari di storiche Arcidiocesi considerate da secoli fabbriche di Cardinali.Scelte spesso assunte in solitudine e imposte a colpi di richiami all’obbedienza, con un effetto domino di reazioni che hanno scosso la Chiesa.

E’ stato il prezzo da pagare, hanno osservato i vaticanisti più indulgenti con Francesco, per fronteggiare la galoppante secolarizzazione della società e tentare di scongiurare l’apostasìa, l’abbandono formale e volontario della religione, che spopola Basiliche e Seminari, prosciuga vocazioni e ordinazioni sacerdotali, rendendo talmente marginale il ruolo della Chiesa. Tanto che spesso, ha denunciato la stampa cattolica, ottiene più spazio sui media la salute di un Panda che i ricorrenti massacri di intere comunità cristiane in Africa e Asia. Cosa resterà del pontificato di Bergoglio? Sarà soprattutto la scelta del successore, continuatore o restauratore, a delineare lo spessore intrinseco o la provvisorietà estrinseca dell’eredità di Francesco.

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