Italrugby ancora in piedi, dopo gli All Blacks

Ora testa al Sei Nazioni

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Dopo due prestazioni francamente sconcertanti contro Argentina e Georgia, dalla sfida impossibile agli All Blacks era lecito arrendersi una mattanza e, invece, siamo sfiniti, con i muscoli in fiamme e senza più fiato ma vivi e vegeti. L’italia, spendendo più della benzina che aveva nel serbatoio, resta in partita per settanta minuti, quando la terza meta dei neozelandesi sancisce una resa che, appunto, è arrivata tardissimo.

Merito di un’attitudine furiosa e feroce che, addirittura, nei primi venti minuti ci vede avanti nel punteggio e, cosa che più conta, nella qualità del gioco. Non è uno scherzo, è successo davvero. Venti minuti, un’eternità nel rugby, nei quali facciamo la voce grossa nei breakdown e, pur commettendo diversi pasticci di manualità perché costretti a velocità di esecuzione che non ci sono usuali, riusciamo a mettere un bastone negli ingranaggi perfetti degli All Blacks al punto da innervosirli e costringerli più volte all’errore.

È l’Italia di Ruzza onnipresente, del capitano Brex che placca pure l’aria, del granitico Negri, di Zuliani che mette le mani dappertutto, di Ioane e di Menoncello, un fuoriclasse epocale che troverebbe spazio in qualsiasi nazionale al mondo. Se al riposo siamo sotto di undici, e ci avremmo messo la firma, è solo perché l’unica vera distrazione in quaranta minuti ci costa allo scadere una meta gratuita e realmente evitabile. Chi si aspettava una ripresa di sofferenza fin dalle prime battute ha dovuto ricredersi subito. Perché al minuto cinquanta una lunga fase di possesso azzurro inchioda i neozelandesi ad un palmo dalla meta e solo il ricorso al fallo reiterato ed al mestiere di chi ne ha viste tante consente loro di uscire indenne dall’apnea prolungata.

Frangente che ha un po’ ricordato quella volta di San Siro di quindici anni fa, quando la nostra mischia li mise alle corde. La mischia, questa volta, ha purtroppo subito la brutale superiorità dei pari ruolo avversari che in quel settore di gioco ci hanno capillarmente massacrato. Tuttavia, a difesa dei nostri, c’è da dire che siamo in ottima compagnia, perché i primi tre uomini neri in questo momento guardano tutti dall’alto. Certo è che ci hanno distrutto, costringendoci a giocare con l’uomo in meno, Ferrari, quale ovvia punizione per una mischia incapace di opporsi.

Con l’Italia sempre più affaticata il controllo del match finisce saldamente nelle mani neozelandesi ma anche con la vista annebbiata dallo sforzo i nostri si prodigano in una difesa ai limiti della commozione tanto che, appunto, il match fino al settantesimo non può considerarsi chiuso. Gli ultimi dieci minuti regalano tre mete tra cui quella che manda i titoli di coda, la risposta splendida di Menoncello e l’ultima dei tuttineri, quale sciagurato omaggio azzurro allo scadere che rovina un po’ lo score finale e che recita un comunque onorevole 29-11. Solo quattro marcature concesse, avversari sotto i trenta punti quando l’ultimo confronto ne fece registrare novantasei, solo diciotto punti di gap. Tutto ciò nella capacità di restare presenti fino al fischio finale. Insomma, è andata davvero bene e possiamo essere orgogliosi.

Ora testa al Sei Nazioni, dove abbiamo il dovere di ribadire quanto di buono fatto vedere nella passata edizione. Replicando prestazioni di questa intensità, magari aggiustando un po’ la disciplina e qualche automatismo che ancora non gira a dovere come possono essere le battaglie aeree, possiamo fare ottime cose contro le compagini del nostro emisfero. Lo stadio pieno, per l’occasione meraviglioso, unito al blasone degli avversari, ci ha fatto tirare fuori dal cilindro il meglio di noi stessi ma il salto di qualità di una squadra passa per fare di quella di ieri una prestazione consueta. Allora sì, ne vedremo delle belle, perché finalmente abbiamo dentro di noi un sacco di qualità.

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