Il bivio mortale della Lega e il più grande rischio per la politica. Di Matteo Spigolon

Alla prossima tornata elettorale Salvini costretto a cedere a Fratelli d'Italia o la Lombardia o il Veneto.

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Il 22 gennaio 2019, quasi sei anni fa, scrivevo che la trasformazione della Lega Nord in Lega nazionale era un’operazione che dipendeva da un fattore fondamentale: il tempo.

O Salvini passava all’incasso nel più breve tempo possibile, cementando con la conquista e la tenuta del potere quella che era vista da tutti come una sfida complicata, oppure i suoi desideri si sarebbero trasformati in una lenta agonia.

Quello che è successo nella pazza estate dello stesso anno, e che ha dato il via alla ripida discesa, è ormai storia.

E ora eccoci qua.

La sconfitta del centrodestra alle elezioni regionali in Emilia-Romagna (scontata, ma più pesante del previsto) e Umbria (quando un candidato uscente non viene riconfermato è una bella botta) ha scoperchiato il vaso.

Non solo tra alleati, ma soprattutto all’inteno dei partiti.

Della Lega in particolare, che è quella uscita più malconcia.

Se quelle dell’Emilia-Romagna (ingiocabile) e dell’Umbria (piccola parentesi in una regione che ha sempre avuto altri orientamenti) sono sconfitte che pesano fino a un certo punto, il vero problema si presenta l’anno prossimo: si vota in Toscana (ingiocabile), in Campania (incognita De Luca) e in Veneto.

Ed è quest’ultima regione che potrebbe decretare una stoica resistenza o la fine di un’era.

Nell’ultimo consiglio federale della Lega, che da ricostruzioni giornalistiche sembra sia stato teatro di duri confronti, è emersa tutta la preoccupazione per l’eventuale perdita di una regione simbolo.

Fratelli d’Italia, che è il partito di riferimento del centrodestra da anni, reclama la necessità di riequilibrare la situazione al nord e parametrarla ai rapporti di forza attuali.

Detta in parole povere: come minimo una grande regione del nord deve essere governata dal partito della Meloni.

Come minimo. In Piemonte si è appena votato e quindi niente. Rimangono Lombardia e Veneto. Una deve essere ‘ceduta’. Salvini (anche se La Russa non sarebbe d’accordo) non sacrificherà mai la Lombardia.

Fratelli d’Italia lo sa e non ha la certezza di cosa potrà succedere da qui alle prossime elezioni in Lombardia, che sono troppo lontane. Meglio incassare subito.

Sembra difficile che possa andare diversamente, a meno di una rottura che porti la Lega a correre in Veneto da sola.

Ma cosa succederebbe nelle altre regioni a quel punto?

E al governo?

Rischiare un terremoto per il Veneto o trovare un’accordo?

Io propendo per la seconda ipotesi.

Solo un miracolo potrebbe consentire alla Lega di tenere il Veneto.

Non è detto che non possa succedere, ma a oggi risulta una missione (quasi) impossibile.

Però non è finita qui…

Queste non sono le uniche rogne per i partiti.

C’è da affrontare il gigantesco problema di una crescita costante e inesorabile dell’astensionismo e un calo netto della partecipazione attiva.

Da un parte sempre meno persone vanno a votare, dall’altra sempre meno persone vogliono impegnarsi in politica.

E i ricambi generazionali non faranno che aggravare questo problema.

In un recente articolo de “Il Sole 24 Ore”, le statistiche presentate rivelano che sei under35 su dieci non hanno alcun interesse per la politica e la propria comunità.

Tradotto: non gliene frega nulla di votare e si farà sempre più fatica a comporre le liste per le elezioni di livello più basso.

Ho la sensazione che le fusioni tra comuni, più che per volontà politica, si renderanno obbligate anche per mancanza di rappresentanti istituzionali.

Trovare la soluzione a questi problemi non è facile, ma non è consentito arrendersi.

Matteo Spigolon

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