«Mascariare» in siciliano significa tingere con il carbone. Basta un tocco e resta un segno. Quello del sospetto, ovviamente. Quando si parla di mafia vengono in mente sempre scenari e complotti. Non amiamo le dietrologie né le teorie della cospirazione, ma certo è alquanto sospetto che quelle intercettazioni che sono inutilizzabili e non rilevanti ai fini delle indagini , diventano invece materia preziosa per il «mascariaramento» a mezzo stampa.
Crediamo sia la terza volta che ripubblichiamo questo estratto del Foglio risalente al 2015, una descrizione tristemente inappuntabile su quello che da decenni (non certo da ieri) avviene nel rapporto tra la cronaca giudiziaria, soprattutto cerca cronaca, e la tutela degli indagati e soprattutto di chi, senza commettere alcun reato, entra nel tritacarne del circo mediatico giudiziario.
E così il senza dubbio capace Giorgio Mottola, inviato della tramissione in onda su Rai 3 e condotta da Sigfrido Ranucci, è venuto ad Abbiategrasso per riprendere il clamore dell’inchiesta Hydra, deflagrata lo scorso ottobre e nella quale sono stati fatti i nomi del sindaco Cesare Nai e di altri esponenti politici (e non solo) della città. Il metodo Mottola, o Report che si dica, è oliato e consolidato: interviste, immagini, estratti da documenti della Procura (e in questo caso stralci di video con esponenti di organizzazioni criminali). Peccato che Mottola si sia dimenticato di dire chiaramente, come sarebbe il caso di fare secondo il manuale del giusto diritto di cronaca, che NESSUN reato è stato contestato ad alcun amministratore pubblico della città. Nessun reato, nessun avviso di garanzia.
Sui rapporti tra crimine organizzato e politica, Mottola ha intervistato due esponenti di Fratelli d’Italia- Carlo Fidanza e Paola Frassinetti, neppure sfiorati dall’indagine- sui rapporti con uno degli 11 arrestati (sulle 154 richieste di arresto avanzate e quasi in toto respinte dalla Direzione Distrettuale Antimafia), Gioacchino Amico. Di cui si è parlato in relazione alla presunta volontà di candidarsi a sindaco di Busto Garolfo. Peccato non si sia mai candidato, e che negli organismi dirigenti (ma anche a livelli assai più bassi) del partito di Giorgia Meloni non ci sia traccia della presenza di Amico.
Mottola poi ha intervistato l’avvocato Giovanni Bosco, assai noto in città, parente dell’ormai arcinito Paolo Errante Parrino, descritto come imprenditore ma che l’avvocato Bosco, in una ‘contro intervista’ video realizzata da Francesco Catania e disponibile su You Tube, ridimensiona assai. Errante Parrino, condannato in passato, non ha subito alcun provvedimento restrittivo nell’ambito dell’inchiesta. Parla anche Cesare Nai, a Mottola: del caso relativo all’ingegner Carrozza, dell’alloggio popolare richiesto (e mai assegnato), anche di una denuncia (della quale non si era mai parlato prima) di una dipendente comunale ai Carabinieri per le eccessive insistenze nella richiesta del predetto alloggio pubblico. Insomma, al termine del lungo servizio (come spesso capita) resta un’evidenza: non si sono reati CONTESTATI ad esponenti politici di Abbiategrasso. E francamente neppure a privati cittadini tra quelli che sono stati intervistati.
Un altro peccato deriva dal constatare come Mottola e Report abbiano glissato su quanto scritto ad ottobre dal Giudice per le Indagini Preliminari dall’inchiesta coordinata dalla pm Alessandra Cerreti con la supervisione dell’aggiunto Alessandra Dolci: “è emersa la presenza di contatti tra alcuni appartenenti alle singole componenti criminali, per lo più basati su specifiche conoscenze personali e in ogni caso afferenti a cointeressenze rispetto a singoli affari, talvolta leciti e talaltra illeciti, circostanza questa, che diversamente da quanto ipotizzato dalla pubblica accusa, non costituisce un elemento innovativo nel contesto lombardo”. Insomma, dall’indagine saranno pure emersi reati (gli arrestati sono accusati di porto abusivo di armi, estorsioni, minacce aggravate, traffico di droga, evasione fiscale; circa 225 milioni di euro sono stati sequestrati in via preventiva), ma nulla sorregge il teorema del “sistema mafioso lombardo”. Le parole del gip Perna sono in questo senso nette: “Non è stata raggiunta la prova, nemmeno indiziaria, che gli odierni indagati si sono avvalsi della forza intimidatrice che promana dall’esistenza stessa dell’associazione, con conseguente assoggettamento diffuso della popolazione ad una condizione di omertà generalizzata. Anzi, a ben vedere, la popolazione locale non è nemmeno consapevole dell’esistenza del sodalizio di tipo consortile ipotizzato dalla pubblica accusa”.
“Nonostante l’ingente mole di intercettazioni telefoniche, condotte in un arco temporale lunghissimo – prosegue il giudice – non è stato individuato alcun atto di intimidazione posto in essere da parte degli odierni indagati nello svolgimento delle più svariate attività economiche a essi riconducibili. Tale circostanza desta più stupore se si considera che, nell’ottica accusatoria, il sodalizio di tipo confederativo ipotizzato ha dovuto necessariamente occupare tutti gli spazi della vita politica ed economica della provincia milanese”.
Spesso, anzi sempre, bisognerebbe leggere le carte di indagini così complesse. Non solo stralci di intercettazioni o ricostruzioni parziali. Troppe volte si confonde la pubblica accusa coi giudici, terzi, cui il nostro sistema assegna il delicato compito di emettere sentenze o provvedimwenti. Troppo spesso alcune parti politiche e gruppi associativi dimenticano il sacro principio della presunzione d’innocenza, che diventa per loro presunzione di colpevolezza. Cose viste e riviste. Zero reati, ma tanti mascariati. Che tristezza.
Fabrizio Provera