― pubblicità ―

Dall'archivio:

50 anni dopo il rogo di Primavalle: quando l’estrema sinistra vezzeggiata dai miliardari dava fuoco ai proletari (di Adriano Scianca)

+ Segui Ticino Notizie

Ricevi le notizie prima di tutti e rimani aggiornato su quello che offre il territorio in cui vivi.

Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

Diamo spazio anche noi a questo articolo – pubblicato sul Primato Nazionale il 16 aprile 2016 – del direttore Adriano Scianca, in occasione del 50esimo anniversario del rogo di Primavalle.

Roma – La lotta di classe non è sempre stato un mito filosofico-storiografico della sinistra marxista. Ci sono stati, anche in Italia, anche recentemente, episodi reali di lotta di classe. Un episodio indiscutibilmente permeato di connotazioni classiste, anche se non di massa, lo si ebbe il 16 aprile 1973, a Roma, quando un commando di ricchi andò a dar fuoco a dei poveri, ricevendo poi da altri ricchi solidarietà, sostegno e protezione. A Primavalle, quella sera, morirono Virgilio e Stefano. Il primo aveva 22 anni, il secondo solamente 8. Erano figli di Mario Mattei, segretario della sezione “Giarabub” del Movimento Sociale Italiano, di professione netturbino.

I due morirono in seguito all’incendio doloso della loro abitazione, anche se questa versione faticherà molto a farsi strada nell’opinione pubblica, che all’epoca, pilotata dai ricchi influenti di cui sopra, preferiva puntare sulla faida interna o sulla tesi per cui i fascisti sono soliti all’autocombustione, tutto questo quando nelle strade si urlava, quotidianamente, “Le sedi dei fascisti si chiudono col fuoco, però con loro dentro, sennò è troppo poco”. Ma fare 2+2, all’epoca, era impresa troppo ardua. Per quel rogo bestiale furono condannati in secondo grado a 18 anni di carcere tre ragazzi di buona famiglia e di solidi studi, Achille Lollo, Marino Clavo e Manlio Grillo. Lollo riparò in Brasile, dove alcuni anni più tardi, in un’intervista, tirò in ballo anche la “compagna Perrone”. Si trattava di Diana Perrone, figlia di quello che all’epoca era il ricchissimo editore del Messaggero, Alessandro Perrone.

La donna, tuttavia, non sarà mai processata: il tribunale civile di Roma nel 2011 la dichiarerà “incapace di stare in giudizio”, ma per la privacy (!) non si saprà bene il perché. Sta di fatto che all’epoca il Messaggero porterà avanti una campagna innocentista senza precedenti. Non c’era solo il coinvolgimento della Perrone, a far pendere l’ago verso la pista “alternativa”. Il giornalista Ruggero Guarini spiegò che all’epoca Stefania Rossini e Lanfranco Pace vennero da lui e gli dissero: “Credi davvero che ragazzi intelligenti, colti, preparati come noi, dei marxisti seri che leggono i Grundrisse di Karl Marx possano individuare in un povero netturbino, segretario della sezione del Msi di Primavalle, un nemico di classe?”. Determinante, nel ragionamento, non era la strumentale e pelosa considerazione finale, ma quella precedente: “ragazzi intelligenti, colti, preparati come noi”. Era una questione di casta. Era autodifesa di una razza padrona.

CHAMPAGNE A FREGENE
La stessa razza che si ritrovò a pasteggiare champagne dopo la prima assoluzione di Lollo e degli altri due di Potere Operaio in una villa di Fregene, cui parteciparono Alberto Moravia, Dario Bellezza, il pittore Mario Schifano e il fior fiore dell’intellighentia romana.

Intanto la campagna del Messaggero trovava partner di tutto rispetto: l’editore Giulio Savelli (allora trotzkista, poi divenne deputato di Forza Italia) pubblicava il libercolo Primavalle: incendio a porte chiuse, che appunto attribuiva tutte le colpe ai fascisti. Jacopo Fo, figlio di Dario, si divertiva nel frattempo a disegnare un fumetto in cui accreditava la medesima tesi e mostrava un personaggio molto simile a Giorgio Almirante che dava istruzioni al telefono su come commettere l’auto-attentato. Nel frattempo Franca Rame, allora esponente dell’Organizzazione Soccorso Rosso Militante, in una lettera datata 28 aprile 1973 scriveva a Lollo: “Ti ho inserito nel Soccorso rosso militante. Riceverai denaro dai compagni, e lettere, così ti sentirai meno solo”. Ma soli, in realtà, Lollo e compagni non si sentirono mai. Attorno a loro c’era un mondo ricco e viziato, il mondo di coloro che comandavano, il mondo dei potenti. Sono gli stessi che oggi giudicano, con lo stesso sguardo di disprezzo, il popolo minuto costretto a fare i conti con politiche suicide da loro volute ma scontate da altri, perché la vita nei quartieri della casta è sempre una pacchia, perché la classe non è acqua. Ma talvolta può essere benzina.

Adriano Scianca

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

■ Prima Pagina di Oggi