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Magenta, dopo la puntura della zecca il calvario di Giuseppe al Fornaroli. La figlia: “Auspico più umanità da parte del personale”

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MAGENTA Un calvario cominciato più di un mese fa e che continua tutt’oggi. È quello di Giuseppe di Robecco sul Naviglio, un uomo di 71 anni, ricoverato all’ospedale Fornaroli di Magenta dopo essere stato punto da una zecca e della figlia Gloria. Quest’ultima auspica maggiore umanità dei medici verso i pazienti e più disponibilità verso i parenti che vivono un periodo difficile. Lo scorso 14 novembre Giuseppe aveva la febbre alta e ha cominciato a preoccuparsi.
Il tampone covid ha dato esito negativo e così, nel primo pomeriggio, si è recato al pronto soccorso. L’attesa è stata molto lunga, come accade sempre per via di un incremento di accessi dovuto all’influenza, e alle 23.30 i medici lo informano che erano intenzionati a trattenerlo in osservazione. Lui si è lasciato prendere dalla paura e ha preferito firmare per tornare a casa. Ma il giorno dopo è tornato sulle sue decisioni recandosi nuovamente in pronto soccorso. Vista la situazione decidono di ricoverarlo in Medicina, ma per indisponibilità di letti viene portato nel reparto di Oncologia e Traumatologia al settimo piano. “Il quadro clinico risulta, fin da subito, molto grave – spiega la figlia – infezione da stafilococco e setticemia con contenuta emorragia cerebrale. I medici si mettono in contatto con l’infettivologia dell’ospedale di Legnano per avere un quadro più preciso, considerati i precedenti con la leptospirosi”.

Da Legnano arriva la conferma a quello che si temeva. L’uomo è stato colpito borreliosi, per nulla strano considerata l’elevata presenza di cinghiali nel territorio del Parco del Ticino. Nei giorni successivi subentra anche la polmonite ad aggravare ulteriormente il quadro clinico. “Al settimo piano abbiamo incontrato medici eccezionali – afferma la figlia – fornivano aggiornamenti giornalieri sia telefonici che in presenza, molto attenti anche allo stato emotivo del paziente e dei parenti. In reparto era addirittura possibile portare qualcosa da mangiare. I problemi sono cominciati con il trasferimento al nono piano”. Naturalmente a incrementare i disagi ci sono le restrizioni tuttora presenti per evitare un’altra diffusione del covid che possa mettere in crisi i reparti. La figlia però, da quanto ha visto, solleva alcune critiche: “Il personale non aiutava mio padre a cambiare gli indumenti. Spesso una t-shirt gli rimaneva per due, tre e anche quattro giorni. Solo su nostra esplicita richiesta trovavamo il cambio da portare a casa per il lavaggio”. Per l’uomo la situazione si aggrava. Il medico rianimatore valuta il rischio vita e viene trasferito in rianimazione. “In quel reparto l’assistenza è stata eccellente – conferma – sono stati messi dei drenaggi polmonari visto che aveva diversi litri di liquido nei polmoni”.

Dopo quei giorni critici Giuseppe è tornato nel reparto di Medicina. Migliora, ma è ancora sotto stretto controllo e dovrà essere sottoposto ad ulteriori esami. “Spero proprio che il rapporto con il personale cambi – conclude la figlia – spesso non conoscono le condizioni dei pazienti e parlare con loro è impossibile. Devono capire che per noi figli sono momenti di ansia terribile. Vedere mio padre in sofferenza è tremendo”.

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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