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Magenta: vita da soccorritore nei giorni di emergenza sanitaria. Inter Sos e il suo equipaggio a Bergamo

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MAGENTA –  Il volto è provato. Non è solo la fatica a segnare, è soprattutto la tensione. I soccorritori che salgono in ambulanza sono spesso visti come l’ultima ruota del carro del sistema sanitario. Eppure c’è chi ne ha fatto una ragione di vita, una missione. Un lavoro, per usare un termine un po’ arido. Perché non è certo un lavoro come gli altri. Richiede competenze, ma soprattutto voglia di dare tutto per aiutare chi soffre. Diego e Sharon lo fanno di lavoro e ci mettono l’anima. A Magenta, nella sede dell’Inter Sos, la pubblica assistenza presso la quale prestano servizio, raccontano: “Anche questa notte siamo stati a Bergamo, per la precisione a Mornico al Serio, dove ci è stato dato un luogo al coperto per poter stazionare al caldo. Abbiamo fatto tre interventi per casi simili, stessi sintomi, stessa procedura”.

Non vogliono mettersi in mostra. Non è quello che cercano. Anzi, ne farebbero a meno di questo periodo in cui anche loro sono sotto i riflettori. Ma è giusto che la gente sappia quello che fanno. Il mestiere del soccorritore, ad oggi, non è considerato nemmeno un mestiere. Non è riconosciuto per dire le cose come stanno. Da quasi una settimana Inter Sos invia un equipaggio nella zona di Bergamo, la più falcidiata dall’emergenza Covid – 19 su richiesta di AREU. Quella dove c’è più bisogno di ambulanze, anche se gli equipaggi necessitano pure sul territorio dove gli ospedali sono allo stremo delle forze. E allora c’è un mezzo di base anche a Magenta, sempre Covid – 19, oltre a tutte le altre ambulanze dedicate ai trasferimenti.

Ma come funziona il soccorso in una zona di emergenza sanitaria? “La chiamata della centrale ti avvisa di un sospetto Covid, – continuano – allora indossi ancora quella tuta, quegli occhiali, quella maschera. Tutto quello che ormai da settimane è diventata la nostra divisa. La procedura è sempre la stessa, ma quello che ogni volta ci lascia senza parole sono gli occhi dei parenti, la paura che vedi in loro, lo smarrimento negli occhi del paziente al quale non puoi far altro che dare conforto, la consapevolezza che in pronto soccorso saranno soli. Gli ospedali al collasso, dispositivi di protezione sempre più introvabili, le ambulanze non bastano mai. Rinnoviamo l’invito a stare a casa perché solo così ne usciremo vincitori, lontani ma vicini. Lo ripeteremo all’infinito STATE A CASA E TUTTO ANDRÀ BENE”.

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