90 anni per Rino Tommasi. Semplicemente, the Greatest Of All the Times- di Teo Parini

Elogio al giornalista che portò la narrazione tennistica a livelli mai più sentiti

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E così, per Rino Tommasi – senza troppi giri di parole, il nostro maestro – è giunto il tempo di spegnere novanta candeline. Noi che, peraltro senza riuscirci ma con tutta l’umiltà del caso, cerchiamo sempre di raccontare il tennis provando a farlo rimpiangere il meno possibile, gli dobbiamo molto. Perché è davvero facile osservare con quale frequenza finiamo sempre per ritrovarci a descrivere qualcosa di tennistico, un match come un protagonista, attingendo dal suo pozzo di sapere inesausto, fatto di locuzioni costruite con metodica ricerca lessicale e geniale trasposizione simbolica di immagini. Così, quando l’incontro volge al termine ci scappa spesso di dire che “il treno è giunto in stazione”. Oppure, nel vedere sotterrare in rete una volée al giocatore fuori posizione, ci viene naturale esclamare un perentorio “palla calante volée scadente”. Magari perché il ragazzo è di “mano agricola” e, quindi, “chiamato a giocare di fino ha rivelato le sue umili origini”. Tutta roba sua, ovviamente. Poi, all’ennesima previsione sbagliata, la nostra cifra stilistica, ci torna utile rinverdire il ricordo del celebre adagio per il quale “i pronostici li sbaglia soltanto chi li fa”, sempre di tommasiana memoria. Ma lui, i pronostici, li prendeva una volta sì e l’altra pure, mica come noi. Per una questione di competenza maturata sul campo ma anche perché, prima di assurgere alla leggenda della telecronaca, Rino è stato un bookmaker di razza e, si sa, quella è una categoria avvezza a parlare poco e prenderci spesso.

Allegorico ma, per dirla alla Gianni Brera, dotato di una mente matematica. Il perché è presto detto: Rino padroneggia i numeri senza bisogno del supporto dell’intelligenza artificiale. C’è chi usa il computer e chi, come lui del computer ne fa le veci, oltre che a meno. Già, i benedetti numeri. Se li ricorda tutti, li sciorina come bere un bicchiere d’acqua e, niente, non lo si prende mai in castagna. Una passione, la sua, prima ancora che una dote, quella di far di conto. A differenza dell’altro Gianni, ovviamente Clerici, che Tommasi definì Dottor Divago, sempre a proposito di genialità, per quel suo modo meraviglioso di portarci a spasso con chiacchiere morbide come seta ma che proprio non voleva saperne di addentrarsi nei meandri delle statistiche, finendo per non prenderci mai. Così, come spesso accade, gli opposti si incastrano alla perfezione come tasselli di un puzzle, e la coppia Tommasi-Clerici rappresentò in quel periodo storico l’acme della narrazione tennistica, la svolta epocale, l’asticella della comunicazione che sfiora il cielo. Un nuovo modo di educare al tennis, pedagogia giornalistica pura. Novantanove volte su cento, Rino e Gianni costituivano il motivo principale della scelta di dedicare ore del nostro tempo alla tivù. Perché scoprimmo, con inevitabile ma sana invidia professionale, quanto una cronaca ben fatta potesse essere financo più interessante dell’oggetto stesso della narrazione.

E se abbiamo goduto di tutto ciò, in un certo senso lo dobbiamo a Stefan Edberg, “la miglior volée di rovescio di sempre in uscita dal servizio”. E la definizione, manco a dirlo, non è nostra. Perché Rino, osservando quel ragazzino dal rovescio paradisiaco e la propensione all’arrembaggio di chi si prese la Bastiglia correndo senza elmetto verso l’obiettivo, disse all’indomani della sua vittoria nel torneo di Wimbledon juniores che se non avesse trionfato in quello dei grandi entro cinque anni avrebbe smesso di parlare di tennis. Stefanello – questa volta parafrasando Clerici – cinque anni esatti più tardi sollevava il trofeo più importante al mondo nel cielo di Londra sancendo involontariamente almeno due cose. Tommasi, ed è la prima, ancora una volta aveva la ragione dalla sua parte. Poi, che, inaspettatamente ma in fin dei conti nemmeno troppo, anche un uomo tutto d’un pezzo, talvolta cinico come granito e sempre propenso alla supremazia della concretezza, tanto da aspettarsi potesse stravedere per i nuovi corazzieri sparagnini del tennis moderno, avesse perso la testa per l’artista del fioretto che più artista non c’era. Gira e rigira, siamo tutti un po’ schiavi della bellezza, e anche Rino non fa eccezione.

Rino che è riduttivo circoscrivere al solo universo tennis, nonostante quanto detto e al quale occorre aggiungere che si districò bene anche dal lato pratico arrivando a possedere un livello di gioco di un certo spessore, ha dato parecchio anche alla boxe – la trasmissione “La grande boxe” da lui ideata, per dirne una, è culto allo stato puro – ed al calcio quale grande tifoso del Verona, la sua città natale. Insomma, per noi che lo sport, e il tennis in particolare, è sempre paradigma di vita, Rino Tommasi rappresenta la stella polare, la direzione da seguire, il metro di paragone. L’esame di laurea. Sono passati anni, ormai, dalla sua ultima comparsata televisiva anche se sembra ieri. Pomeriggi che ci hanno visto crescere, ci hanno spinto a guardare il gioco con occhi più educati e che, soprattutto, hanno contribuito a corroborare il nostro amore viscerale per il tennis. Non possiamo che ringraziarlo, proprio oggi, nel giorno del suo novantesimo compleanno. Quindi, “circoletto rosso” a te, maestro Rino. E tanti auguri.

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