Anche 10 se leggi senza fretta: vino, politica, scrittura, cose
Di tutte le ricchezze
CAMILLA GARAVAGLIA
Quando è morto Silvio Berlusconi mi trovavo in coda ai varchi di sicurezza in aeroporto. Di lì a poco avrei preso un volo per Ibiza e ricordo che per prima cosa ho pensato: tutto qui?
È così che finisce un periodo – un’epoca non so, di sicuro un periodo -, è con un tweet, o un messaggio sul telefono, o un carosello fotografico su uno dei social a caso che si mette una pietra sopra un uomo e la sua storia?
Ma certo che non era così: ci sarebbero stati i funerali, perché poi al plurale?, e gli articoli di giornale, e i coccodrilli e le retrospettive e poi le battute, ad allungare i tempi. Se c’è una cosa che manca a quest’epoca – periodo non so, mi sa che è un’epoca – è proprio il silenzio.
E la verità arriva come uno schiaffo, come una beffa, come un tradimento: è una tele-verità quella che smonta il sorriso del nostro tele-premier. Domenica 5 ottobre la nuova “Domenica in” trasmette in diretta, sotto-forma di gialla e appariscente classifica, i risultati di un sondaggio lanciato da qualche settimana ai telespettatori: dite “basta” a qualsiasi cosa. Il risultato spiazza la Rai Uno delle censure alle gaffe del capo del governo: la prima delle dieci cose che gli Italiani meno sopportano è “Berlusconi e i politici che dicono e non fanno”.
“Basta Berlusconi”, dunque? Certo. Ma, come al solito, in realtà l’acefala massa comunista non ha capito un tubo: la maggioranza degli Italiani che a “Domenica in” ha telegridato “Basta Berlusconi” intendeva dire che basta Berlusconi per risolvere il problema delle pensioni, che basta Berlusconi per ricucire insieme i brandelli della coalizione, basta Berlusconi per rimettere in sesto l’economia che va a rotoli. Intendeva insomma dire che a noi Italiani non serve nient’altro: BASTA, e avanza, Berlusconi.
“Ma, però” – Ottobre 2003
Quando andavo al liceo Berlusconi era il male. Parlo per me, chiaramente, e per i miei compagni di scuola che come me la pensavano. Non che oggi io sia in vena di revisionismo, ma mi stupisco del livore che riuscivo a provare e, soprattutto, di quanto mi indignassero le sue barzellette, la sua spudoratezza, le sue ragazzine.
Forse più di tutto mi indignavano le sue ragazzine: come è possibile, dicevo, che donne poco più grandi di me decidessero di vestirsi scollate per partecipare a serate con uomini ricchi e adulti mentre io – io! – desideravo invece entrare nel mondo della politica per la mia bravura, per la mia intelligenza e per la mia cultura (tre cose che ero certissima di avere, e mi dicevo pure che era solo questione di tempo che la sezione giovanile del partito in cui mi ero tesserata lo capisse e mi candidasse per le prime elezioni utili).
La verità è che con il tempo le cose si fanno sfumate, e così i loro contorni. Come con i frattali, più approfondisci e meno ti avvicini alla realtà: aumenti la potenza della lente di ingrandimento solo per vedere sempre lo stesso schema, ripetuto all’infinito, scoprendo che vedere non ti aiuta a comprendere.
Ti aiuta, però, a provare pietà, nel senso originario del termine. Pietà per quella che eri e per quelli per cui pensavi di non poterla provare.
Insomma, era giusto a quei tempi indignarsi per la parata trionfale della mamma di Berlusconi nel paese qui di fianco, ma succedesse oggi forse giudicherei in modo peggiore il tizio che li ha portati, entrambi, nel suo terreno per brillare di luce riflessa. Intendiamoci: non escludo, un giorno, di poter provare pietà anche per lui e di ammorbidire ancora un po’ le mie posizioni.
Deve essere questo che significa invecchiare: un cammino lungo il quale indurirsi e ammorbidirsi, sentendo sempre un po’ meno e sempre un po’ di più al tempo stesso.
Ci sono stati i funerali poi, alla fine, e in quattro articoli, centinaia di necrologi e una diretta televisiva si è chiusa l’esistenza di una persona ed è stato lì che ho ripetuto un’altra volta: è tutto qui?
C’è vento e io ho pensato: guarda te se invece che unirmi alle battute e ai cori di chi dice “è morto! Festeggiamo!” – come la me 17enne meriterebbe, se non altro in onore dei bei tempi – mi trovo a provare dispiacere per la sorte dell’umanità, per il cammino che ci porta tutti per strade diverse allo stesso epilogo anche quando lavoriamo per diventare immortali.
Guarda te, ho pensato ancora, se in coda per i controlli tra i tamarri in ciabatte e le veline che non lo sono mai diventate mi devo fermare per assimilare la più grande e triste delle certezze: vuoi vedere che in questo momento io, proprio io, sono più ricca di Berlusconi?
*Questo articoletto lo ha scritto la mia amica V quando aveva 16 anni sul giornale del liceo. Era già brava, bravissima: amica V, quando scrivi qualcosa per la mia newsletter?