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10 febbraio, il giorno del NON ricordo- di Marcello Veneziani

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A me, vi confesso, non piace parlare di #foibe, e ancor meno mi piace contrapporle all’eccesso mediatico-istituzionale sulla Shoah. Non mi piacciono queste partite sul dolore e non mi piace evocare la storia per associarla solo all’orrore. Tantomeno mi piace identificare due parole belle e dolci come memoria e ricordo, l’una che richiama alla mente e l’altra al cuore, con tremendi massacri.
Non mi piace applicare il manuale Cencelli agli orrori. E poi sono tragedie incomparabili. Come catastrofe umanitaria la Shoah giganteggia. Se invece parliamo in relazione alla storia italiana, sono morti più italiani nella foibe (dai 12 ai 15mila) che nei lager nazisti (circa 6 mila di ebrei italiani su 7.200 deportati, in base al Libro della Memoria – ed. Mursia, a cura di Liliana Picciotto, che ne riportava tutti i nomi). Il paragone comunque è improprio e ferisce la memoria di entrambi, soprattutto per l’uso politico che se ne fa; quel che paragoniamo è l’atteggiamento prevalente verso l’uno e verso l’altro. È l’emiparesi della memoria, l’abuso ideologico.
Ma torniamo sulle foibe. “Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città… Non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già scarsi”. È l’Unità, organo del Pci, del 30 novembre 1946 a proposito dei profughi istriani, dalmati, giuliani. Italiani doc, che secondo i comunisti fuggivano non da un nemico “ma impauriti dall’alito di libertà che precedeva o coincideva con l’avanzata degli eserciti liberatori”. Nei documenti d’epoca il Pci sosteneva che non si dovesse rinunciare a quella che veniva definita “la tattica delle foibe” Ovvero lo sterminio, era per loro neutralmente “tattica”. La banalità del male…
I contatti tra Togliatti e i capi dell’operazione sterminio erano continui. Le foibe finirono nell’omertà sin da quando furono perpetrate. Perché tiravano in ballo le responsabilità del Pci e di un’ala cospicua della lotta partigiana nei massacri, perché incrinavano il rapporto con la vicina Yugoslavia di Tito, perché c’era il tabù della cortina di ferro che spartiva i due mondi, l’occidente filoamericano e l’est filosovietico. A eccezione del tg2, tuttora si omette di dire che gli infoibatori erano comunisti. Certo, il nazionalismo precedente fu una delle cause che inasprì i rapporti sui confini orientali. Ma lo sterminio degli italiani e la loro espulsione ed espropriazione dalle proprie terre obbedì a una triplice guerra: la guerra del comunismo contro l’Italia fascista, poi la guerra dei proletari comunisti contro i benestanti borghesi istriano-dalmati, quindi la pulizia etnica contro gli italiani.
Infine vorrei sapere che fine hanno fatto i rari processi postumi che furono avviati contro gli infoibatori, da Piskulic in poi. Tutti arenati, dopo che fu tolta al magistrato Giuseppe Pititto l’indagine scottante. Ma non solo. Migliaia di pensioni vennero versate dallo Stato italiano agli infoibatori, grazie al vergognoso trattato di Osimo del 1975. Viceversa le famiglie degli infoibati e dei profughi hanno aspettato giustizia e spesso non hanno ricevuto un soldo da nessuno, slavi o italiani. Esempio atroce i 630 bersaglieri della Rsi. Si erano arresi con la garanzia della loro incolumità ma furono massacrati. E in quanto militi della Rsi, i superstiti e i loro famigliari non ebbero mai alcuna pensione. Gli infoibatori si, gli infoibati no.
Le foibe furono per decenni il ricordo atroce di una minoranza di profughi e il ricordo polemico di una minoranza di “patrioti”, in prevalenza legati al vecchio Msi. Solo mezzo secolo dopo cominciarono lentamente a risalire dal buio e ad affacciarsi timidamente nei libri di testo e nelle commemorazioni ufficiali, strappare messaggi ai Capi dello Stato e infine vedersi in tv in sceneggiati assai edulcorati in cui mai si parlava di partigiani comunisti ma solo vagamente di titini e dove non si capiva cosa fosse realmente accaduto; sembravano storie private, locali e famigliari, vicende avulse dalla storia. La giornata del ricordo è l’ultima commemorazione dedicata all’amor patrio istituita in Italia. Resta lì, orfana spaesata nel calendario dell’oblio. La giornata del non ricordo.
Marcello Veneziani

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