Sportivamente parlando, si intende, ma oggi l’Italia del rugby si gioca gran parte del Sei Nazioni 2025 che, dopo la brutta sconfitta rimediata la scorsa settimana in Scozia, rischierebbe di prendere una piega non propriamente esaltante. Il calendario sembrava fatto apposta per noi, con i primi due turni da disputare contro gli avversari teoricamente più abbordabili e, pertanto, con la possibilità di affrontare le tre restanti partite, quelle decisamente più complesse, con la tranquillità di chi il suo dovere l’ha già fatto.
La prima cartuccia, però, l’abbiamo sparata male, molto male, fornendo al Murrayfield una prestazione al di sotto delle legittime aspettative. Fatta di una partenza tremebonda, costata due mete in una manciata di minuti, e di un crollo verticale sul più bello, quando l’inerzia a punteggio ristabilito era ormai tutta dalla nostra parte. Sconfitta pesante, dunque, più per il non gioco che per i numeri; sconfitta che, appunto, ci mette già con le spalle al muro.
Oggi, infatti, ospitiamo il Galles, già battuto nelle ultime due edizioni, che a Roma arriva forse nel momento peggiore della sua storia. I dragoni hanno problemi dappertutto: in campo sono finiti dilaniati dalla Francia (43 a zero) e in federazione le cose non è che gli vadano meglio. Insomma, a guardare la situazione da fuori ci sarebbe di che essere ottimisti ma, affinché il rugby si confermi scienza esatta con la vittoria del più forte, occorre un’Italia diametralmente opposta a quella deficitaria vista ad Edimburgo sette giorni fa. Qualcosa che, va detto, è nelle nostre corde attuali. Quesada, il coach, ha confermato per quattordici/quindicesimi la scorsa formazione di partenza, con il solo Cannone (ottimo il suo impatto con gli scozzesi) che subentra a Lamb. C’era la curiosità di sapere se Quesada avesse deciso di rivedere il nostro triangolo allargato e, nello specifico, se la possibilità di spostare Capuozzo da ala ad estremo fosse una strada percorribile. Ciò, in considerazione del fatto che l’italo-francese, all’ala, nell’ultima uscita non abbia brillato, rimanendo a lungo escluso dal gioco.
Niente. Estremo resta Allan, piede caldissimo di questi tempi, con Capuozzo (e pure Ioane) chiamato a fare la differenza al largo, per dare all’Italia che fatica terribilmente a convertire in punti il lavoro prodotto qualche fantasiosa opzione in più. Non si può dimenticare, all’uopo, la metà di Padovani all’ultimo respiro che non più tardi di due anni fa valse il match contro i gallesi. Marcatura nata da una serpentina proprio di Capuozzo in versione Alberto Tomba, quello di Calgary 1988, che mandò al manicomio almeno tre difensori, saltati come birilli prima dello scarico per il compagno lesto a schiacciare oltre la linea. Detto dell’approccio sbagliato al Murrayfield, ci sarà da evitare anche la difesa a tratti troppo morbida che è costata tutte le mete (troppe) messe a referto dalla Scozia. A questi livelli, lapalissiano ma doveroso sottolinearlo, non si possono vedere certi placcaggi mancati in serie.
Emblematica è la meta che, di fatto, ci è costata il match d’esordio, con tre azzurri in evidente superiorità numerica (e tattica) incapaci di fermare un avversario isolato, libero di marcare cinque sanguinosi punti come lama calda nel burro. Altro errore da evitare come peste manzoniana è quello di pensare di avere vita facile. Noi non siamo la Francia, che senza alzare i giri del motore può malmenare il Galles di turno, e, pertanto, siamo tenuti ad una guerra di trincea dal primo all’ultimo minuto. Accorti, disciplinati, con gli occhi iniettati di sangue, furiosi nei punti di incontro, aggressivi nei placcaggi, svelti di pensiero. Fare bene le cose semplici, insomma, che significa non fare regali (le touche mal giocate, per esempio), assicurarsi possessi di qualità grazie all’affidabilità della mischia chiusa, capitalizzare la presenza nei ventidue metri finali per togliere certezze all’avversario. Facile a dirsi, ma niente che non sia possibile fare sul campo.
Sempre a proposito di vita (non) facile, in Galles la chiamano partita della stagione. Non una buonissima notizia. Che significa, per noi, incontrare avversari, comunque più avvezzi a gestire situazioni di una certa complessità, che sanno di non avere altri treni a disposizione e, dunque, che giocheranno con la bava alla bocca. Che il Galles, qualche milione di abitanti, tesseri il doppio dei nostri ragazzi, a fronte di sessanta milioni e più di italiani, ci deve far ricordare che nel Sei Nazioni non è facile nemmeno bere una birra nel terzo tempo, figuriamoci la bagarre dei primi due. Con questa convinzione, e forti del roster più ampio e di qualità da quando ormai un quarto di secolo fa abbiamo fatto il nostro esordio nel torneo più antico al mondo, questo pomeriggio abbiamo la chance di dare continuità ad un percorso di crescita che dodici mesi fa ci ha portato a disputare il più bel Sei Nazioni della nostra storia.
Stringiamoci a coorte, inizia la battaglia