Nella notte tra l’11 e il 12 settembre 1919, grazie ad un manipolo di rivoluzionari, Fiume divenne italiana. Simbolo dell’impresa fu la torre civica della città, su cui si ergeva maestosa l’aquila imperiale. Da quella notte la creatura non ebbe più due teste ma una, l’impero austroungarico fu definitivamente sconfitto dal glorioso impero romano.
Vedete, il nostro Paese è solito dividersi su tutto e quando in gioco c’è un pezzetto di storia nazionale l’occasione è sempre propizia, per i campioni del politicamente corretto.
Si preferisce insabbiare la memoria, alimentare la divisione, perché quando il popolo è diviso, è più facilmente governabile. Ed ecco che l’impresa fiumana è solamente sinonimo di fascismo, l’anticamera del Ventennio.
Nessuno azzarda mai una rilettura degli eventi, nessuno prova a capire che cosa ancora può insegnarci la nostra storia, il nostro passato.
Così, guai a chi prova a sostenere che in realtà i legionari non furono dei beceri mercenari ma dei sognatori. Volevano rivedere l’idea politica, culturale, economica dell’Europa dei primi del ‘900.
Vergogna a chi tenta di attualizzare l’immagine di Fiume “stato cuscinetto”. La città come donna sdraiata su cui America, Inghilterra e Francia banchettano, in barba all’Italia e al sacrificio dei suoi giovani soldati, che avevano combattuto per vedere sventolare di nuovo il tricolore in città.
Ma non è ancora vietato pensare liberamente. E se oggi avessimo voglia di farlo, dall’impresa fiumana potremmo estrapolare l’audacia e l’orgoglio di un popolo. Già, in quegli anni le rivoluzioni si facevano con le armi, figlie di quel complesso periodo storico. Oggi però, mentre altre potenze cercano di banchettare sull’Italia ridotta a stato cuscinetto, a frontiera sacrificabile, l’audacia e l’orgoglio di tentare una rivoluzione potremmo averlo tutti noi. L’arma l’abbiamo: è la nostra matita, nella cabina elettorale.
Fratelli d’Italia Magenta