La sua è quella che sono in molti a definire la generazione persa del tennis. Quella triturata dal dominio dei Fab Four (forse Five, considerando pure il meraviglioso Wawrinka), capaci, questi ultimi, di mettere insieme qualcosa come sessanta e passa Slam e un numero ancora maggiore di Masters 1000, lasciando ai malcapitati contemporanei poco più che le briciole. Con Federer e Murray già in pensione, Nadal inchiodato in infermeria senza più le ginocchia e Djokovic che vive comprensibilmente momenti alterni, adesso è tutta un’altra cosa per chi nutre ambizioni di dominio tennistico e Alcaraz a parte, che è campione epocale di analoga genia, per gli altri la speranza di iscrivere il proprio nome nell’albo d’oro di un Major ora c’è. Nel momento migliore della sua carriera, Grigor Dimitrov questa chance non l’ha avuta e, per onor di verità, un po’ anche per colpe proprie, anche se non crediamo si crucci troppo per ciò che in fin dei conti non è stato.
Eppure su di lui eravamo in milioni a scommettere o quantomeno a sperare che qualcuno baciato da una forma raffinatissima di talento come la sua potesse dare continuità alla missione impossibile (per gli altri) di Roger Federer. Quindi, vincere attraverso un gioco che trasuda bellezza antica, in un periodo storico egemonizzato dall’esasperazione dei dogmi bollettieriani, da attrezzi fin troppo democratici, superfici rallentate e in fotocopia e, non da ultimo, fisici bestiali. Lo si chiamava a quell’epoca, appunto, Baby Federer ed etichetta più scomoda non avrebbe potuto esserci per lui. Livello di aspettativa massimo, del resto le somiglianze erano evidenti tanto che lo si credesse capace di ripercorrere, almeno in parte, la parabola del maestro basilese.
Troppo bello, e non solo nel gioco, e un pelo troppo leggero di bazooka, Grigor, stagione dopo stagione ha dimostrato a sé stesso prima che agli aficionados di poter fare trenta ma non trentuno, sempre restando fedele al suo tennis da highlights. Elasticità muscolare da uomo di gomma e stile da libri di scuola, pur costruendo una carriera longeva e di alto livello, che significa Top Ten a più riprese, l’acuto che cambia i giudizi su un tennista non è mai arrivato. Un Mille in bacheca, curiosamente strappato a quel matto di Kyrgios che parla la sua stessa lingua e vince ancora meno, la semifinale a Wimbledon un po’ regalata a Djokovic e il prestigioso sigillo nelle ATP Finals, sono traguardi importanti che non gli rendono del tutto giustizia. Ma si è detto, trovare i Fab Four al top della forma e nei tuoi giorni migliori rappresenta una certa sfiga. A maggior ragione se si pensa che solo qualche anno prima a vincere gli Slam erano i vari Moya, Ferrero e Hewitt. Niente di personale nei loro confronti ma Dimitrov è di tutta un’altra pasta. Tempismo, maledetto tempismo.
Fama planetaria, anche tra chi della disciplina che fu pallacorda e abiti bianchi conosce giusto il nome, grazie al sodalizio amoroso con la divina Sharapova in quella che è per distacco la più bella coppia del tennis moderno, Dimitrov non ha ancora deposto le armi e, anzi, pare stia vivendo una seconda giovinezza. Dopo un ottimo 2023 che lo ha visto rientrare tra i migliori dieci del ranking e disputare una prestigiosa finale a Parigi Bercy, il trend positivo è proseguito anche in questa stagione. Tanto che grazie alla vittoria riportata ai danni dell’amico Rublev si è aggiudicato un posto nei quarti di finale degli Us Open in corso di svolgimento. E considerate le sconfitte premature di molti dei papabili favoriti non è detto che la corsa del bulgaro non possa proseguire ancora in un torneo nel quale partirebbe battuto solo con Sinner e Medvedev che, peraltro, sembrano destinati a scontrarsi.
In assenza di Alcaraz, che ancora una volta resta a secco di benzina dopo aver dominato a Wimbledon e ci sarebbe da chiedersi il perché, con Kyrgios ormai ex tennista e gente pazza e luninescente come Bublik, Musetti e Shapovalov troppo belli per essere anche cavalli da corsa, la notizia migliore per il pianeta tennis sarebbe proprio quella di vedere Dimitrov sollevare la coppa nei cieli chiassosi di New York. Accadimento difficile, forse impossibile, ma lo sport è abituato a concedersi delle eccezioni e, con la penuria di eccellenza che c’è in giro, quella di un Grigor vincente sarebbe vera manna dal cielo. Sperare, del resto, è rimasta l’unica cosa della vita che non costa nulla. Insomma, provaci ancora Grigor.



















