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I primi 70 anni di Mario Mantovani, leone ferito e messo in panchina dall’ingordigia dei nani- di Fabrizio Provera

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ARCONATE – Prima di scrivere questo pezzo abbiamo riflettuto a lungo, focalizzando la nostra attenzione su due elementi. Il primo: articoli così sono di per sé divisivi, dacché polarizzano idee, uomini, scontri, storie personali (e in questo caso politiche).

Il secondo elemento è quello che ci ha maggiormente confortato: scritto 10 o anche solo 5 anni fa, quando Mario Mantovani era all’apice di una impetuosa carriere politica, Viceministro alle Infrastrutture, coordinatore regionale di Forza Italia, Vicepresidente di Regione Lombardia e consigliere più votato di tutti, avrebbe assunto i toni della piaggeria pelosa (e francamente stucchhevole). Mantovani, in quegli anni, poteva tutto o quasi. Decideva carriere, assegnava prebende e incarichi.

Scritto oggi, a quasi un anno esatto dalla condanna in primo grado inflitta dal Tribunale di Milano e a 2 anni e mezzo dalla fuoriuscita di Mantovani dalle aule della politica, dove a differenza di molti è sempre entrato in virtù del consenso popolare, significa anzitutto celebrarne i 70 anni (Mantovani li ha compiuti il 28 luglio 1950), mentre dall’altro canto equivale a ripercorrere, filtrati dalla lente della verità (e non della faziosità manettara e giustizialista che ha condito troppo spesso la narrazione sulla sua vita e attività politica), i passi di un protagonista con pochi eguali nella storia dell’est Ticino.

Se proprio si dovesse fare un parallelo con qualche personaggio del passato, cosa che peraltro nessuno (a nostro dire stranamente) si è mai peritato di fare, la persona che maggiormente gli si avvicina in termini di rilevanza ed ‘esprit’ è secondo noi Giovanni ‘Albertino’ Marcora, che fu partigiano cattolico, sindaco di Inveruno, ministro dell’Agricoltura e dell’Industria, imprenditore di una moderna azienda agricola (a Bedonia), fino a raggiungere il vertice della Democrazia Cristiana, di cui sarebbe divenuto segretario se la malattia non lo avesse ucciso a poco più di 60 anni, coi vertici della politica e dell’economia italiana ad omaggiarlo nel giorno dei funerali, riversandosi nella sua piccola Inveruno.

Sono diverse, anche se poi esistono punti di discontinuità, le analogie tra Marcora e Mantovani. Entrambi vengono ed hanno basato le loro fortune dalla cultura contadina delle nostre terre, quella di padri che avevano studiato poco (gioco forza) ma che seppero sviluppare una straordinaria attitudine al lavoro e all’impresa.

LAVORO, IMPRESA E VISIONE

Mario Mantovani comincia la sua vita da professore, dopo la laurea in Lingue e Letterature Straniere, insegnando contemporaneamente in tre istituti scolastici (‘cominciavo alle 7 del mattino e finivo dopo le dieci di sera’, ci ha raccontato).

Intriso di quello spirito strapaesano e lombardo, un misto di fatica, cultura del fare ed intuito, la prima svolta avviene agli albori degli anni Ottanta, quando il futuro eurodeputato che sbaraglia i concorrenti a colpi di preferenze entrando nel Parlamento Europeo alle elezioni del 1999 comincia  a gestire brillantemente, per conto di istituti religiosi, le vecchie colonie elioterapiche sulla riviera romagnola.

Sono anni di lavoro ininterrotto (Mantovani, le ferie estive, non le farà per anni), quelli in cui- come ha ricordato suo figlio Vittorio, che dall’eredità paterna e materna ha tratto un’intelligenza decisamente superiore e non comune- a Igea e Bellaria arrivano decine di migliaia di ragazzi, da ogni parte d’Italia e d’Europa (figli di famiglie emigrate, che volevano riacquisire dimestichezza con la terra e la lingua d’origine).

E’ da lì che Mantovani comincia a costruire le fondamenta delle sue aziende: rilancia edifici stantii, riattiva modalità di passare i mesi estivi (le colonie, ideate dal fascismo per le famiglie che avevano scarse possibilità economiche e non potevano mandare la prole in vacanza), dimostra da subito di possedere capacità manageriali e direttive inusuali.

Le colonie crescono, si consolidano, Mantovani le acquisisce (come dirà candidamente, nel corso del suo interrogatorio davanti a Giulia Turri, nel corso del processo di primo grado).

Successivamente fa il suo ingresso nel mondo delle case di riposo per anziani. Sono sempre gli anni Ottanta, quelli durante cui muore sua sorella Ezia, a cui viene dedicata una Fondazione e che sperimenterà (tra le primissime) le cure oncologiche rivoluzionarie del professor Umberto Veronesi, che salverà migliaia di donne dal tumore al seno (ma non Ezia Mantovani, purtroppo).

Le case di riposo: nascono nel cuore dell’Altomilanese, si estendono, aprono modalità nuove di relazione con Comuni ed enti locali, che grazie all’intuito di Mantovani trovano soluzioni amministrative mai sperimentate, insediando strutture che cominciano a rispondere ad un bisogno che sta diventando primario (e presto potrebbe assurgere a drammatico): la cura delle persone anziane, che a differenza dell’epoca post bellica non passano più gli ultimi anni della vita nelle case dei propri familiari, ma in strutture che li assistano al meglio.

‘Per valutare una casa di riposo hai due elementi chiave, anzi tre. La pulizia all’angolo dei muri, l’odore di piscia per i corridoi, la qualità dei pasti serviti. Ebbene, se vai in una rsa di Mantovani i muri saranno puliti, non percepirai alcun odore di piscia e il cibo sarà di buona qualità’: sono le parole che ci confidò un affermato medico di Magenta, e che nel tempo abbiamo avuto la possibilità di vedere confermate.

Tra gli anni Ottanta e Novanta, così, Mantovani consolida la sua realtà imprenditoriale nel segno dei valori che un giorno lontano il nostro ex direttore Giuseppe Leoni da Turbigo sintetizzò così: in questa terra il successo imprenditoriale di un membro della famiglia diventa valore condiviso con tutta la famiglia.

Ecco perciò che moglie, figli e nipoti sono coinvolti nella gestione di una realtà che cresce cogli anni anni e nel numero di collaboratori: poche unità, decine, centinaia, più di mille…

LA POLITICA

Discendente di famiglia cattolica e contadina, l’elettorato che rappresentava il serbatoio della fu Democrazia Cristiana, nella Seconda Repubblica Mario Mantovani sposa il progetto di Forza Italia (casa comune di cattolici e liberali) e di un altro visionario di conio puro, Silvio Berlusconi.

Quella che segue, e che dura un ventennio, è l’epopea politica e pubblica di Mantovani: eletto a suon di preferenze (più di 50mila) in Europa nel 1999 e nel 2004, nel 2008 approda in Senato e al Governo: sarà il vice del compianto Altero Matteoli, ministro alle Infrastrutture.

I cinque anni della legislatura segnata nel mondo dalla crisi Lehman culminano nel passaggio in Regione Lombardia: con  13mila preferenze stacca tutti e diventa il vice di Roberto Maroni, assumendo la delega al Welfare.

Dall’autunno 2015 la vicenda giudiziaria che ne segna pesantemente gli ultimi anni. Varrà solo la pena di ricordare che nella sentenza del luglio 2019 Mantovani viene totalmente scagionato dal capo d’accusa, concussione, che lo spedirà in carcere per sei mesi, tra San Vittore e domiciliari. In poche parole, le accuse alla base della carcerazione preventiva crollano come un castello di sabbia.

Mentre nel capo d’accusa sulla ben nota gara per dializzati  il suo allora omologo Massimo Garavaglia viene assolto, Mantovani rimedierà una condanna..

Nel 2018, alla vigilia delle elezioni, il partito ‘culla’ del garantismo (presunto), Forza Italia, lo esclude dalle liste. Il partito che candida e ricandida Nicola Cosentino esclude Mantovani, tra silenzi e sorrisi smorzati dei cacicchi rancorosi a cui non par vero di far fuori un competitore interno (i primi avversari di un politico sono sempre nel suo partito) che in termini di voti li aveva sempre schiacciati.

E’ qui che s’insinua il tramonto dell’esperienza azzurra, con lo spettro dei nani che s’ingrandisce innaturale e a dismisura sino a fare ombra al gigante, azzoppato non tanto dalle sentenze, quanto dal giustizialismo manettaro (nel 2017 Mantovani viene persino associato all’Ndrangheta, con tanto di indagine poi archiviata e tante scuse dalla Procura di Monza).

Nel 2018, prima di tutti, vede in FDI  e Giorgia Meloni l’approdo dei delusi di centrodestra. Entra in un partito che aveva il 4% e oggi veleggia (dato del Corriere) al 18%. Lucrezia Mantovani gli succede ed entra alla Camera. L’ereditarietà è un tratto tipico della politica e delle cariche elettive, in Italia e in Europa (e anche oltre).

COSA MANCA DEL MANTOVANI LEADER NELL’EST TICINO

Tanto, quasi tutto. Il Mantovani che per quasi 20 anni riesce nel creare, di fatto, una corrente. Consiglieri, assessori, sindaci, deputati. Molti dei suoi pretoriani vengono dal cattolicesimo politico e sociale (Luca Squeri, il figlio del partigiano bianco amico di Enrico Mattei; Sante Zuffada, già sindaco Dc di Magenta), altri sono folgorati sulla via di Arconate e rimangono irretiti dal carisma di un politico che a ogni incontro, convention o cena amava chiamare uno ad uno i suoi amici (e qui Mantovani compie un semi capolavoro: immette la categoria dell’amicizia in un mondo di farabutti e leccaculo, ossia la politica. Ovvio che, dopo il suo arresto, molti ex cortigiani si dissolveranno come un ghiacciolo nel deserto), impiegando minuti a stiparli tutti su palchetti improvvisati.

Forza Italia, e con essa An e Lega, avevano coordinamenti di collegio forti, classe dirigente selezionata quasi sempre in modo serio e credibile, i sindaci rispondevano ai cittadini e a criteri ancora efficaci di scelta.

Tolto il maggioritario, tolto il legame tra eletto ed elettore, tolti i collegi, di quella luminosa esperienza non è rimasto nulla. Spesso, esperienze amministrative imbarazzanti e Comuni commissariati prima del tempo. Per palese incapacità degli astanti.

Il centrodestra di quegli anni superava il 50, 60% dei consensi, dando un’impronta forte alla gestione degli enti locali. Oggi l’unico partito rimasto ad effettuare selezione della classe dirigente (e a fare ‘scuola di partito’) è la Lega, dalle nostre parti.

Forza Italia, rispetto agli anni d’oro di Mantovani, è un ectoplasma. C’è, ma non esiste. I cacicchi di cui sopra, tranne rarissime eccezioni, sono asserragliati su scranni dove molti di loro sono arrivati per cooptazione, e non certo tramite le forche insidiose del consenso elettorale e popolare.

Certo, Mario Mantovani è stato un uomo di potere, e il potere si esercita spesso usando i modi dell’elefante in cristalleria. Ma ha sempre rispettato i perimetri del campo: lotta dura, senza pace se necessario, ma sempre nella e dentro la politica.

Quando invece è subentrato il circo mediatico giudiziario, la narrazione dell’imprenditore che ha creato migliaia di opportunità e aiutato migliaia di persone trasformato da qualcuno (e per qualcuno..) in un manigoldo di paese, quando le persone che con le pezze al culo chiedevano a Mantovani di pagare le bollette del gas perché erano al freddo (e Mantovani gliele ha pagate) poi lo hanno mandato alla sbarra con denunce ed esposti, annichilendo ogni traccia di umana riconoscenza, allora si coglie con chiarezza perché ad Arconate e dintorni alberghi una quantità smisurata di SCHADENFRAUDE.

E a cosa ci riferiamo? Il piacere per le disgrazie altrui, quel sentimento  annidato nei nodi fondamentali della società contemporanea, che viaggia attraverso i canali della comunicazione permanente, si nutre della reattività immediata e irriflessa dei social media, prolifera nell’overload emotivo che tiene in ebollizione costante il dibattito pubblico. Sembra costituire una parte fondamentale del sistema nervoso della nostra società.

Semplice. Cristallino.

Mario Mantovani

VISIONARIO NEL TRAMONTO, MA  NON AL TRAMONTO

In 20 anni di conoscenza superficiale di Mario Mantovani, di cui 4 vissuti più da vicino, c’è un momento che ci è rimasto e ci rimarrà per sempre impresso.

E’ avvenuto nella sala riunioni di un resort in Sardegna, un giorno di fine settembre, s’era al tramonto di un sabato.

Quella sera, parlando davanti a 20 persone, quelle più legate alla sua vicenda umana e imprenditoriale, Mario Mantovani diede prima un’occhiata alle acque turchesi della Costa Smeralda e poi pronunciò parole che non abbiamo dimenticato: ‘Abbiamo creato dal nulla questa impresa sociale perché eravamo animati da un sogno. Consentire a ogni uomo e a ogni donna di vivere in piena libertà, fino all’ultimo istante della loro vita. Quel sogno è lo stesso che deve animare, ogni giorno, la nostra azione e ispirare i nostri passi’.

C’era la sua famiglia, c’erano i suoi figli, i suoi principali collaboratori. Le persone che hanno segnato ogni passo di una crescita che è sempre state silenziosamente fragorosa.

Game, set, match. Come quando, con una bruciante volee di rovescio, John  McEnroe riscriveva le leggi del tennis.

Tanti auguri a Mario Mantovani, che continua a guardare il mare con occhi da visionario e un sorriso, anche se ha sperimentato su se stesso l’ombra dei nani che oscura i giganti. Ma è una fase passeggera. Presto, i nani torneranno a trastullarsi nel nanismo, e i giganti a rimettere le cose a posto.

Buon compleanno, Senatore. Ci sovvengono le parole del colonnello Frank Slade in Scent of a woman. La culla della leadership.. E i supporti che si spezzano.

Fabrizio Provera

 

 

 Entrando qua dentro, ho sentito queste parole: “la culla della leadership”. Beh, quando il supporto si rompe, cade a pezzi la culla, e qua è già caduta, è già caduta. Fabbricanti di uomini, creatori di leader, state attenti al genere di leader che producete qua. Io non so se il silenzio di Charlie in questa sede sia giusta o sbagliata, non sono giudice né giurato, ma vi dico una cosa: quest’uomo non venderà mai nessuno per comprarsi un futuro! E questa amici miei si chiama onestà, si chiama coraggio, e cioè quelle cose di cui un leader dovrebbe essere fatto. Io mi sono trovato spesso ad un bivio nella mia vita, io ho sempre saputo qual’era la direzione giusta, senza incertezze sapevo qual’era, ma non l’ho mai presa, mai. E sapete perché? Era troppo duro imboccarla. Questo succede a Charlie, è giunto ad un bivio, e ha scelto una strada, ed è quella giusta, è una strada fatta di principi, che formano il carattere. Lasciatelo continuare nel suo viaggio, voi adesso avete il futuro di questo ragazzo nelle vostre mani, è un futuro prezioso, potete credermi. Non lo distruggete, proteggetelo, abbracciatelo, è una cosa di cui un giorno andrete molto fieri, molto fieri. 

 

 

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