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Questo articolo è stato pubblicato in data Marzo 30, 2017 e potrebbe contenere informazioni obsolete.

Trentamarzo

E’ successo all’improvviso, forse mentre dormivo, forse mentre ero in raccoglimento, al santuario per il mio rito quotidiano, quello dei 25 giorni, forse mentre mangiavo o forse mentre, pazientemente spiegavo al tato come fare una cosa e lo ringraziavo per quella sua dedizione, per il senso di comunanza che prova, che provo io quando sono con loro.

 

Forse è successo mentre danzavo con le parole, per raccontare, spiegare i miei tormenti e di come si potrebbero risolvere quelli di alcuni, forse mentre il mio interlocutore, dallo sguardo attonito, forse menzognero o più semplicemente indifferente più preso dalle sue necessità che di quelle della collettività, forse mentre spiegavo a Salvatore e a Marco, i mie fedeli falegnami, come risolvere un dettaglio costruttivo che avrebbe semplificato le cose per tutti e, in viva la semplicità, anche soddisfatto il mio ingegno. Forse mentre parlavo con la mamma, forse mentre l’ascoltavo, attento a non perdermi i pezzetti di storia che un giorno mi serviranno, pezzetti di tanto che emergono dal passato, di cose che se non ti fermi subito a concretizzarle le perdi.

 

Come quella sua dedizione ai figli quando erano piccoli. Forse mentre ascoltavo che lo devo a lei e a chi altro sennò, se c’è le ho ancora le tonsille che “certo un po’ hai sofferto da piccolo, ma ora vedi stai bene” certo certo annuivo e ascoltavo; forse quando  mi ha raccontato della sua convinzione di madre che le cose andavano fatte così e non come diceva il dottore, quella dottoressa di cui non ricordo ne nome ne volto, quella dottoressa che avrebbe voluto praticare un incisione, che forse allora era in uso, che solo la ferma opposizione di mamma, fermò una dura presa di posizione, condivisa da un altro medico, dopo, che la obbligo ad una veglia quindicinale e lei li ferma sulla seggiola, a dormire di tanto in tanto, tantomeno rischiare di risolvere la faccenda con meno fatica, con quella fatica che è stata ricompensata. Cuore di madre che sovrasta la scienza. Forse, forse è accaduto ora, prima mentre radunavo sulla carta le tracce dei pensieri che stasera mi capiterà di esporre; o forse quando sono entrato, quando ho aperto l’uscio, quando entrando nel locale ne ho sentito il profumo, l’aroma dell’acqua che stamane ho versato, forse oggi più diligentemente del solito e di certo penso che sia successo così, oggi, poco prima.

 

Ne sono certo, e senza forse.

Da sotto, guardinghi e anche furbi, mi hanno sentito arrivare, mi hanno visto, con quella maglia che io non vedo, quella maglia filante, trasparente che corre tra la bambagia e il cotto, quella maglia che ha scavalcato la bambagia per accorparsi con il marrone scuro della terra, crosta della vita, quella tela che dialoga con la sua estesa geometria, che più che una maglia è un dedalo, a volte inestricabile. Una rete che contiene le colline e le montagne e che, se non fosse per quello, la terra cadrebbe.

 

Mi pare di sentirla ora, quello stelo che cattura la mia immagine. Mi vede, alza la testa appena fuori dal bordo, scruta l’orizzonte e vede il mio capo comparire di là del vetro, oltre il davanzale, oltre il vuoto della finestra. Il segnale parte, scende dalla superficie del fogliame esterno, grande e piatto, corre sullo stelo, piega nella curva che lo unisce al gambo e scende, scende velocemente, vorticosamente, ruotando e girando nelle spire negli anelli, arriva al colletto, è buio ora, ma si deve far presto, arriva là sotto e percorre tutta la gamba destra dello stelo, dall’alto ha deciso dove andare, arriva all’apice e qui, qui la chimica fa i miracoli, poco lontano un altro filamento è cresciuto, da sopra nessuno si accorto di nulla ancora, ma sotto, sotto è tutto un brulichio, un fermento, un festival di sostegni che preparano l’equilibrio per i nuovi addensamenti. Con un salto nel buio appena grigio perché lì la crosta è sottile e un barlume di luce arriva, ed è credo questo che aiuta, l’impulso parte arriva e dà il via da qui anche agli altri. Ed è così che immagino sia andata ed ora sono lì, appena accennati, tre piccole punte quasi rosse;, quasi che ora che mi sono alzato per rivederle, pare siano già cresciute.

Vedo tutto; ma là sotto, il dedalo nascosto delle radici si complica sempre di più, nel suo ordinato e meticoloso lavoro, oscuro ai più. Che serva a questo, il mio vedere e osservare?

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